Per una buona legge a favore della montagna

Pubblicato su Sciare magazine, 1 gennaio 2023

Per chilometri di piste, lo sci italiano merita considerazione e rispetto. Con i suoi 5.782 km di piste blu, rosse e nere lo sci si annovera tra le principali reti viarie del Paese. Se, infatti, si escludono la rete stradale ordinaria, che consta di 167.565 chilometri, e quella delle piste ciclabili, che si estende tra strade, sentieri e piste ciclabili propriamente tali per 93.500 km, e, infine, quella ferroviaria che si sviluppa in 16.776 km di strade ferrate, la rete sciistica è tra le più estese strutture viarie della Penisola, appena di un migliaio di chilometri inferiore a quella autostradale, che è lunga 6.965 km.

Se, poi, si considera che l’Italia è da cima Testa Gemella Occidentale nelle Alpi Aurine, estremo nord del Paese, a punta Pesce nell’Isola di Lampedusa, estremo sud del confine nazionale, lunga circa 1300 km, beh, con gli sci ai piedi possiamo idealmente percorrerla per quasi 4 volte e mezza.

L’Italia è decisamente un paese di sci. E infatti, a ben contare, ci sono più impianti sciistici che stadi di calcio, 1.803 contro 1.626, escludendo, ovviamente, i campi sportivi dilettantistici, che sono 12.415.

I numeri parlano chiaro e ci dicono molto su quanto sia importante lo sci in Italia e quanto sia esteso e vario su tutto il territorio nazionale. Si scia, a est, lungo piste tra rocce di dolomia, a ovest, tra montagne di granito; si scia sulle Prealpi e sulla dorsale appenninica, tra nordiche abetaie e virgiliani faggeti; si scia oltre i 3 mila metri e sia scia al di sotto di quota mille; si scia ammirando cristallini laghi alpini, quanto gli azzurri mari d’Italia: dall’Adriatico al Tirreno, al Mediterraneo. Non credo che vi sia al mondo un luogo con una tale varietà di scenari sciistici.

Su questo dato di fatto, trentuno anni fa, l’8 marzo 1991, veniva approvata dalla Camera e dal Senato e promulgata dal Presidente della Repubblica la legge che disciplina i professionisti della montagna, maestri di sci e guide alpine. Una legge quadro che, nel suo essere legge nazionale, garantiva livelli di preparazione professionale minimi uniformi e al contempo, nel suo essere legge d’indirizzo, delegava alle singole Regioni di promulgare apposite leggi territoriali, attraverso le quali si riconosceva la varietà e la diversità della montagna italiana e quindi anche della sua offerta sciistica.

La legge numero 81 del 1991 e le leggi regionali che ne seguirono furono una grande conquista per le professioni della montagna. Che ne ricevettero la giusta considerazione e il giusto rispetto.

Oggi, ma è da tempo oramai, si sta parlando di promulgare una nuova legge ad ampio spettro “per lo sviluppo e la valorizzazione delle zone montane”, che preveda speciali strategie a beneficio di tutti gli operatori, in modo che vivere, lavorare, crescere in montagna possa essere meno difficile e svantaggioso di quanto oggi sia, e così arginando quello spopolamento che inesorabilmente si registra di anno in anno.

Ebbene, che la legge della montagna sia promulgata al più presto ma che essa anche, al pari della legge n. 81 del 1991 che definisce le professioni della neve e della roccia, sappia considerare e rispettare, nei comuni valori della montagna, la sua varietà e la sua diversità, per essere davvero, così, una buona legge.

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