Il maestro italiano

Pubblicato su Sciare magazine, 1 dicembre 2022

Il maestro di sci, italiano, s’intende, è, mi pare indiscutibile, una figura mitica della montagna invernale. Basta dire la parola “maestro” e già si è dentro nell’immaginario di storie favolose, d’imprese eroiche, di sciate divine. Il maestro appartiene al mito perché ha il carattere del condottiero, dell’eroe, del dio: sa condurci nelle discese più ardite, sfida con coraggio la neve e il ghiaccio, scia divinamente, compiendo le curve più difficili nel modo più semplice. Una lezione di sci, in virtù di ciò, non è mai stata un ordinario momento di addestramento e tantomeno un banale momento di divertimento. Una lezione ha sempre significato vivere il mito e, mi pare indiscutibile, non c’è nulla più inebriante di ciò.

Come questo sia avvenuto, non è difficile da capire. Tutti i miti affondano le proprie origini agli inizi della storia di una data civiltà. Essi sono il racconto attraverso il quale, quella data civiltà, esprime la propria concezione del mondo. La nostra è la civiltà della montagna e il suo mondo è quello severo e duro della neve e del freddo, dove la vita non è mai agevole, né semplice.

Lo sci degli inizi era lo specchio della vita in montagna di allora. Discese su prati con neve di ogni tipo mai battuta, salti da trampolini improvvisati, infinite corse nordiche lungo mulattiere innevate. Con gli sci i bambini andavano a scuola e a messa; gli adulti andavano a lavorare e a caccia; i più bravi e coraggiosi si sfidavano in gare audaci con giovani di altre valli per la gloria del proprio paese.

Quando finì la Prima guerra mondiale e i primi turisti cominciarono a salire in montagna, molti furono attratti dal nuovo sport e chiesero d’imparare a sciare. A nominare i primi maestri di sci non fu la FISI, che venne una quindicina di anni dopo, ma la stessa gente di montagna. Fu la “vox populi” a dire “va da quello che ti insegna a sciare” e quello era sempre e solo colui che vinceva le gare. Lo sciatore prescelto per fare il maestro era lo sciatore migliore, quello più veloce, più forte, più coraggioso anche se, per insegnare a un turista del tempo che non aveva mai visto gli sci, poteva bastare un bambino che usava gli sci per andare al catechismo. Il popolo di montagna sa che in montagna non si prende mai nulla alla leggera. Quindi, all’origine, il maestro fu il campione. Questa è la visione del mondo nella civiltà alpina. Il mito del maestro nasce da qui.

Giusta, sacrosanta, doverosa, appartenente al mito è allora la prova di gigante alle selezioni; di più ancora la PFC-T, la prova formativa comune tecnica, l’ex eurotest, per l’abilitazione professionale. I maestri devono sapere fare uno slalom. Sarebbe astorico il contrario. E di conseguenza è giusto, sacrosanto, doveroso, appartenente al mito che i maestri di sci siano tutti di massimo grado, perché, come si è detto, nella civiltà della montagna e nella sua concezione del mondo non ci sono le mezze figure. O si è o non si è capaci di stare sugli sci. Le mezze conoscenze non sono conoscenze. L’essere simpatico, divertente, empatico, conoscere le lingue, essere un bravo animatore, un giocoliere della neve, un gran didattico non sono caratteri che appartengono al mito. Il mito vuole il condottiero, l’eroe, il dio; vuole l’essere primo nella sfida agonistica, nella tecnica; …vuole il massimo livello.

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