Come una diva

Pubblicato su Sciare magazine, 1 febbraio 2023

È arrivata, in ritardo come una diva, ma è arrivata, la neve, bella ed eccitante come sempre. È arrivata sulle Alpi, sull’Appennino, sulla Sila e sull’Etna. Però è arrivata tardi quando ormai la gran parte dei giornali d’Europa strillava alla catastrofe di un mondo per sempre senza più neve. “L’ultima sciata” intitolava La Stampa, “Addio Neve”, il Corriere della Sera mentre i francesi se ne uscivano con le note previsioni che tra vent’anni non nevicherà più al di sotto dei 2000 metri per cui, data l’irreparabile situazione, loro stanno già pensando a come riqualificare la proposta turistica della montagna invernale. Era l’8 gennaio. Erano appena finite le vacanze di Natale. I giornali del mondo anticipavano l’estinzione totale e definitiva degli sciatori per mancanza di neve, così come a seguito dello sviluppo tecnologico accadde ai costruttori di calessi del far west e ai guardiani dei fari delle isole Orcadi e Shetland nel mare di Scozia. Nessun dubbio: se forse si può ancora salvare il Pianeta, non salveremo la neve.

Mentre tutti recitavano il de profundis, tra sciatori giravano carbonare copie di articoli su Elliot, la winter storm del secolo, la bufera di freddo e neve che ha attanagliato in una morsa di gelo l’intera America, dal Midwest ai Grandi Laghi agli Appalachi centrali, facendo segnare il Natale più freddo dalla fine degli anni Ottanta, quanto qui, in Europa, è stato uno dei più caldi di sempre. Tra sciatori si sussurrava: Buffalo è a 183 metri di altitudine e alla stessa latitudine, 42 gradi nord, de L’Aquila, che però è quasi quattro volte più alta sul livello del mare, 714 metri. Entrambe le città sono sullo stesso Pianeta e celebrano il Natale nello stesso giorno. Hanno perfino il nome ispirato dalla medesima fonte, il mondo animale. Se in una si è sommersi dalla neve e si grida al congelamento, e nell’altra c’è aria mite e si grida alla scomparsa dell’inverno, qualcosa non torna. Il meteo pare non più opposto tra emisferi nord e sud, boreale e australe, ma tra una parte e l’altra dello stesso emisfero. Qui non c’è un fiocco di neve mentre di là ne cadono a bizzeffe. Per cui arriverà, si diceva pieni di speranza. Ma anche sperare l’arrivo della neve non è corretto, certamente non è politically correct, dopo che Greta Thunberg al World Economiv Forum di Davos nel 2019 ha detto: “non voglio che abbiate speranza, voglio che proviate panico”.

Senza speranza, condannati senza appello, pieni di paura per la fine imminente, gli sciatori, come i detenuti la Bibbia, si sono messi a leggere i proverbi. Sul clima ce ne sono infiniti. E i proverbi sono, come dice la parola stessa, composta da pro, che significa “a favore”, e verbum, cioè “parola” intesa come “parola di verità”, espressioni della saggezza e dell’arguzia popolare “a favore della verità”. Ce ne sono che risalgono al Duecento. Ottocento e più anni, quindi, di sapienza maturata nell’osservazione diretta dei fenomeni e tramandata nei secoli. Il Dizionario dei Proverbi dell’UTET ne contiene 30.000. Quelli sul clima aprono la raccolta e sono i più numerosi. E tutti ribadiscono una verità: il tempo non lo si comanda e anche poco lo si capisce.

Una settimana dopo la pubblicazione di quegli articoli, è arrivata la neve, in ritardo come una diva, bella ed eccitante come sempre, che, come dice il proverbio, “è donna, nessuno la comanda, arriva e fa come vuole”.

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