Mettiamo i colori alla Montagna

Pubblicato su Sciare del 15 dicembre 2020

L’idea è questa: suddividiamo la montagna in fasce di colore, come si è fatto per l’Italia. Rosse, arancioni e gialle. Il criterio di restrizione delle attività in tre livelli ha funzionato per il Paese, che un po’ alla volta registra un progressivo contenimento della pandemia. Non c’è ragione di credere che questo intelligente modo di gestire le chiusure non funzionerebbe altrettanto bene per il mondo della neve. Perché dal primo lockdown di marzo un po’ tutti, dagli scienziati del Comitato Tecnico Scientifico, il celebre CTS, istituito d’urgenza all’interno del Ministero della Salute il 5 febbraio scorso, al Governo e ai Governatori regionali, fino a ciascuno di noi, hanno capito sostanzialmente due cose: una, che chiudersi in casa fa diminuire i contagi; due, che fermare l’economia nazionale di uno Stato come l’Italia che da decenni ha più uscite che entrate, cioè più debiti che riserve, in una Unione Europea assai divisa e quindi assai lenta a dare denari ai Paesi membri, non era proprio più possibile. Da questa contraddizione: bene la chiusura per la salute che è condizione di vita; male la chiusura per l’economia che è altrettanto condizione di vita, è nata la felice idea delle fasce rosse, arancioni e gialle. Chiudiamo, ma con criterio, pensando bene a cosa sia davvero necessario chiudere. E allora, perché non applicare l’intelligente criterio delle fasce anche al mondo della neve, proprio nel suo periodo economicamente più importante, le vacanze di Natale? Perché si è preferito chiudere scriteriatamente tutta la montagna, quando si sa che la chiusura totale non è sostenibile economicamente dal nostro sistema paese? Cioè, concretamente, si sarebbe potuto individuare i momenti alti, medi e minimi di rischio contagio durante le vacanze di Natale e per ciascuno provvedere alle limitazioni del caso.

Infatti abbiamo capito che il pranzo di Natale è indiscutibilmente da codice rosso. Lo ha spiegato bene un noto virologo in tv. A tavola ci si siede uno di fronte all’altro, a tavola si ama parlare, a tavola si mangia e quindi ci si toglie la mascherina. Dunque il pranzo di Natale è profondo rosso. Ebbene, mentre si scia, non si è mai uno di fronte all’altro, non ci si può parlare e tantomeno si può mangiare. Ergo lo sci sciato è da codice giallo, se non addirittura bianco candido. Poi, è vero, ci sono le file agli impianti, i possibili assembramenti nei rifugi, nei parcheggi e poco altro. Per questi aspetti collaterali allo sci sciato, si è fermato tutto lo sci, ad eccezione di quello agonistico, che, correttamente, con la supervisione dello Sci club, sotto la guida dell’allenatore, è solo sci-sciato, ovvero di certificabile fascia bianca.

Ma allora, e ritorniamo al nostro ragionamento, perché si sono fermate le Scuole di sci? Si poteva tener chiuso gli impianti per gli sciatori turisti e in deroga far sciare i maestri con i loro allievi, secondo quanto avevamo imparato a marzo, che l’economia, dove possibile, non va fermata? Le Scuole, infatti, come gli Sci Club garantiscono la rintracciabilità dei propri allievi, ne conoscono nome, cognome, indirizzo, numeri telefonici, giorno e financo ora in cui hanno sciato e con chi. I maestri, poi, come gli allenatori, portano i loro allievi solo e soltanto in pista, prendendosi personalmente cura di evitare loro ogni assembramento. Non solo, dati alla mano, lo sci praticato con un maestro è quello più sicuro, essendo davvero rarissimi gli incidenti accaduti durante una lezione di sci.

Si poteva, magari si può ancora, con intelligenza e senso civico suddividere la montagna in fasce, rossa, arancione e gialla, conferendo, così come si è fatto allo sci “d’interesse nazionale” dei Club, anche, ma direi a maggior ragione, allo sci del diritto costituzionale al lavoro (art. 4) dei maestri e allo sci del diritto costituzionale all’istruzione (art. 34) degli allievi, il colore giallo, di rischio contagio minimo, anche se sarebbe più giusto conferirgli il colore bianco, di rischio contagio pari a zero.

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