Le Piccole Dolomiti nella fotografia di Adriano Tomba

Pubblicato in Le montagne dietro casa, novembre 2020

Diversamente dalle Dolomiti, che si estendono per gran parte delle Alpi orientali tra le regioni del Veneto, del Trentino-Alto Adige e del Friuli, in un’area assai estesa, le Piccole Dolomiti con il Pasubio – esattamente il loro versante sud – sono straordinariamente concentrate al fondo di due valli, all’incirca parallele, di una sola provincia, con il profilo, altrettanto straordinario, di una corona di monti, quasi a formare la figura di un’abside che si apre al termine di quelle due navate che sono le valli dell’Agno e del Leogra. Le Piccole Dolomiti sono, per questa ragione, le uniche montagne dolomitiche che si possono vedere, e fotografare, nella loro interezza in un unico colpo d’occhio, come ha dato prova, quasi trent’anni fa, Adriano Tomba con la sua splendida e celebre panoramica della conca recoarese e delle valli del Pasubio.

Le Piccole Dolomiti sono anche le prime cime rocciose che dalla Pianura Padana s’incontrano volgendo lo sguardo a settentrione. Una specie di avamposto o di avanguardia delle Dolomiti alpine, incastonate tra gli altipiani erbosi della Lessinia a ovest e di Asiago a est.

Se pensiamo a questi due aspetti, il loro essere un panorama unitario in sé e la loro collocazione isolata nella fascia prativa pedemontana, possiamo definitivamente risolvere il significato autentico del nome che portano, Piccole Dolomiti, che è tra i toponimi locali quello di più recente coniazione – lo si trova usato per la prima volta in pubblicazioni degli anni Venti del ‘900 – e, soprattutto, è tra i rari nomi, nella sua parte aggettivale, in lingua italiana, fra nomi di luogo quasi totalmente di origine cimbra. Quindi Piccole Dolomiti è nome collettivo in una lingua diversa da quella dei nomi propri delle centinaia di monti, di cime e di vaj che raccoglie in sé. Piccole Dolomiti non può essere, evidentemente, un nome qualsiasi.

Per molto tempo, tuttavia, lo si è letto nel suo significato più comune. In riferimento, ovvero, all’altitudine dei monti che compongono la corona delle Dolomiti vicentine, che è decisamente inferiore, anche di mille metri, rispetto alle quote delle cime dolomitiche propriamente tali. Piccole, quindi, come dato di fatto. Come dato di proporzione; come dato altimetrico. Esistono, per quanto rari, altri nomi di monti locali, sempre in lingua italiana, che richiamano le dimensioni ridotte. E’ il caso di Montagnole, quelle alte, la cresta che da Cima Marana arriva al Passo Tre Croci; quelle basse, la variante a piè delle suddette cime. Ma c’è anche Monte Campetto, che è la prima cima rocciosa che s’incontra da ovest; il passo del Forcellin sul Monte Plische; il Monte Cornetto, che, malgrado il diminutivo, è la cima più alta del Sengio Alto; la Guglia del Giazzetto sul Pasubio. Un ricorso, questo ai nomi in versione diminutiva, che non è quindi circoscritto al nome della catena, ma che troviamo ben distribuito in più punti di essa, a ovest, a nord e a est, quasi a segnare ogni punto cardinale del semicerchio montuoso, venendo così a ribadire le dimensioni ridotte delle Dolomiti vicentine.

Negli anni, infatti, il nome Piccole Dolomiti ha avuto un’indubbia fortuna. Si è largamente imposto, assurgendo a nome primo e indiscusso di quell’arco montuoso che nel secolo del pionierismo alpinistico, l’Ottocento, aveva il nome di Prealpi Vicentine. E questo sebbene molti abbiano sentito nell’aggettivo piccole una connotazione al limite del dispregiativo, anche per il fatto che il termine di paragone non sono le Grandi Dolomiti, ma semplicemente le Dolomiti, per cui piccole non si differenzia da ciò che è grande, ma da ciò che è normale: in tal senso Piccole Dolomiti è connotazione di subnormalità. È offesa.

Tant’è che molti appassionati della montagna vicentina si sono impegnati nella difesa della dignità delle Piccole Dolomiti. Montagna vera. Ricca di fauna e di flora. Montagna severa. Roccia difficile. Dalla storia insigne. I migliori alpinisti si sono misurati con essa, scrivendo pagine gloriose dell’alpinismo mondiale. La bibliografia delle Piccole Dolomiti è ampia e di valore al pari di quelle delle montagne più celebri. E tra le pagine più efficaci ce ne sono alcune di speciali come quelle che raccolgono le fotografie di Adriano Tomba.

Perché egli è certamente tra quei cantori delle Dolomiti dietro casa che sono riusciti a darci il senso autentico del loro nome. Attraverso la sua fotografia, che non è propriamente in bianco e nero, ma nella scala dei grigi fino al nero, perché il bianco non c’è nelle sue foto – anche la neve non è mai candida, ma è segnata dal tempo, dai giochi d’ombra di rocce e di nuvole – Tomba ci ha insegnato a capire cosa sono le Piccole Dolomiti. Lo ha fatto, prima di tutto, con quella panoramica degli anni Novanta, poi da molti ripetuta e interpretata, in cui con potenza ha espresso l’unitarietà delle Piccole Dolomiti. Egli ci ha raffigurato il colpo d’occhio d’insieme che le raccoglie tutte da Monte Campetto, estremo ovest della corona di creste, a Bocchetta Campiglia, estremo est del Pasubio: più di 180 gradi di arco continuo. Tomba è stato il primo a farci vedere l’abside di dolomia che chiude meravigliosamente le valli dell’Agno e del Leogra.

In questa prospettiva, piccole assume una valenza nuova e speciale. Il suo significato non è più in opposizione a grande, ma indica, propriamente, l’essere raccolto, concentrato, magicamente racchiuso in uno spazio definito. È lo stesso uso, per esempio, che ne fa Dante, quando definisce «orazion picciola» il discorso di Ulisse ai compagni per persuaderli a superare le colonne d’Ercole. Nelle parole di Ulisse non c’è nulla di letteralmente piccolo. In quelle parole, anzi, è espresso il più grande discorso mai scritto sull’umanesimo. Un capolavoro assoluto sull’essenza profonda dello spirito umano. Dante lo definisce piccolo perché è breve, perché è conciso, perché è denso, elementi che concorrono alla sua straordinaria efficacia.

Dunque le Piccole Dolomiti si dicono piccole allo stesso modo, perché sono un prodigio di unità, perché stanno tutte dentro in un click fotografico, perché sono un gioiellino di pura bellezza.

Abbiamo anche detto che le Piccole Dolomiti sono le prime, isolate cime rocciose che si vedono dalla Pianura Padana. Piccolo origina da picca che è la punta dell’ago. Piccolo, quindi, ha il suo significato originario in ciò che è a punta. Ma piccolo è anche usato per indicare ciò che è a sé, ciò che è separato dal tutto. Il piccolo mondo antico di Fogazzaro, per esempio, oppure il piccolo teatro, nome che identifica quelle istituzioni teatrali stabili in cui, rispetto ai teatri ufficiali, si tengono produzioni indipendenti, alternative, d’avanguardia.

Per le loro cime aguzze, per il loro collocarsi solitarie nella fascia delle Prealpi, per il loro profilo semicircolare, le Piccole Dolomiti sono indubbiamente il più grande anfiteatro naturale dolomitico.

Per tutto ciò la grande panoramica di Adriano Tomba è un capolavoro, autentico manifesto dell’eccezionalità di un territorio e, allo stesso tempo, della sua poetica di cantore della montagna vicentina, declinata in quasi mezzo secolo di fotografie, in cui egli l’ha ritratta, come invero ha ritratto la montagna dolomitica e la montagna rossa d’America, esprimendo con grande coerenza, nella diversità delle vedute, ciò che è per lui il senso di fotografare la montagna. Che non è quello meramente paesaggistico. Egli rifugge dal pittoresco, come dal descrittivo. Per lui la montagna non è nemmeno memoria e nostalgia per antichi valori perduti. Ma è sfida, in sé non diversa da quella che muove gli alpinisti verso la vetta, di «indiarsi», di avvicinarsi e unirsi allo spirito divino della montagna, che per lui è racchiuso nel profondo silenzio delle sue cime. Le fotografie di Adriano Tomba ci fanno sentire con gli occhi l’assoluto silenzio della montagna.

Scrive Petrarca, «la vita che noi chiamiamo beata è posta in alto». Sulle vette, ove non c’è nulla, gli uomini trovano quel tutto, che è il loro spirito. Dalle cime, dove la visuale si fa a 360 gradi e la vista si perde all’infinito, l’uomo vede dentro se stesso, scopre il proprio mondo interiore. Nelle cime, in cui regna il più assoluto silenzio, l’uomo percepisce la voce del proprio io. Prodigiose contraddizioni, che hanno fatto delle vette il luogo del sublime, il luogo più umano di ogni altro; prodigiosa contraddizione, quel farci vedere il silenzio, nelle fotografie di Adriano Tomba, che ci fa amare la sua opera.

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