Lo sci del fare

Pubblicato su Sciare, 1 febbraio 2020

Che anni, gli anni Settanta. Terribili e fantastici. Furono gli anni bui dell’Italia del terrorismo e gli anni di luce accecante dell’Italia dello sci. Fummo a un soffio da una guerra civile e fummo sulla vetta più alta dello sci mondiale. L’Italia industriale visse la sua più profonda crisi petrolifera con le macchine che alla domenica circolavano a targhe alterne e in ogni montagna sorgevano skilift, seggiovie, alberghi, nuovi complessi di seconde case. La nostra moneta segnava il suo primo record negativo sul mercato dei cambi, marzo 1976, e lo sci azzurro segnava il record dei record con 5 atleti ai primi 5 posti nel gigante di Berchtesgaden come nessuna nazione aveva mai fatto, era il 7 gennaio 1974.
Gli anni ’70 dello sci furono la nostra età dell’oro, la nostra età del mito. Vincevamo tutto e tutto cresceva, eravamo 5 milioni di sciatori, quasi il doppio di quello che siamo oggi. Producevamo sci eccezionali: Spalding, Freyrie, Victor Tua, Lamborghini, Maxel, Morotto, Roy Ski, e scarponi che venivano usati dalla maggioranza degli sciatori del mondo: Caber, Nordica, Tecnica, Dolomite, Dal Bello, Munari, San Marco, e attacchi: i Cober.
Gli atleti azzurri e i maestri di sci vestivano italiano, Colmar, Samas, Silvy Tricot, Ellesse e avevano l’Alitalia come main sponsor, l’azienda patria più conosciuta al mondo.
Ogni settore dava il meglio di sé in uno stato di continua crescita, d’innovazione, di prosperità.
Era lo sci del fare.
Così diverso dallo sci mummificato di oggi, dove tutto è assurdamente complicato da tutto. Siamo bravissimi a costruire impianti di risalita a impatto ambientale zero, ma per fare un semplice collegamento, come quello tra il Comelico e la Pusteria, qualche chilometro di pista, ci si mette anni di carte. Viviamo, rispetto ai nostri padri degli anni ’70, in un’Italia pacifica, benestante e godereccia, ma non siamo più disposti a concentrare i nostri investimenti sulle nostre montagne che non crescono come accadeva allora. Siamo mummificati dalla burocrazia; siamo presi da mille spesucce viziate che distraggono risorse dalla nostra passione.
Invece dobbiamo tornare a pensare alla montagna. A investire in essa. A farla crescere e prosperare. Deve tornare lo sci del fare.

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