Sci e futuro

Pubblicato su Sciare, 1 novembre 2019

Ovviamente, lo sci del futuro sarà sempre più tecnologico. Sciare sul tetto dell’inceneritore di Copenaghen in piena estate senza neve sarà un’impresa da sportivi della preistoria dell’Età della Tecnica. Lo sci del futuro sarà, come tutti gli altri sport, sempre di più una combinazione di uomo e macchina, in cui la macchina svolgerà l’80 per cento della fatica e l’80 per cento della tecnica, mentre l’uomo avrà il 100 per 100 del piacere dell’azione sportiva. Ma non è di questo futuro, che è ovvio, il futuro di cui voglio parlare. Quello che mi interessa è riflettere sulla percezione del futuro che oggi ha chi scia, chi fa sport. Per esempio, uno sciatore immagina di poter sciare tra 10 anni ancora sulle montagne oppure solo dentro i capannoni? E gli altri sportivi come vedono il futuro del proprio sport? Un ciclista di bici “muscolare” o di e-bike fra 10 anni pedalerà ancora su strade e sentieri o solo in speciali ghetti per ciclisti? Un alpinista potrà salire ancora sui ghiacciai oppure tra 10 anni salirà solo sopra i ghiaioni? I rallisti, i motocrossisti, i piloti di Formula Uno o di moto Gp avranno ancora motori a benzina o i motori saranno tutti solo elettrici? I giocatori di calcio, di basket, di pallavolo, i tennisti avranno ancora palloni o palline sintetiche o saranno tutti in fibra naturale? Gli appassionati di canoa o di rafting pagaieranno ancora lungo i fiumi o solo in bacini artificiali con acque di riciclo?
Queste domande sottintendono tutte qualcosa di tremendo: la catastrofica ipotesi che tra 10 anni gli sport saranno vissuti in una versione ridimensionata rispetto a oggi. Fra 10 anni, cioè, faremo sport, ma sarà in tono minore. Faremo sport, ma sarà una cosa diversa rispetto ad adesso. È una prospettiva apocalittica. Il cono del divenire sportivo che è sempre stato pensato come un cono ad aprirsi verso il miglioramento e l’ampiamento delle nostre possibilità, ora è in senso opposto, è un cono che si chiude nel ridimensionamento e nel peggioramento. Nella storia millenaria dello sport il futuro non è mai stato percepito in modo così negativo. Così depressivo.
Perché?
In questi giorni ho letto una ricerca sull’idea di futuro contenuta nei discorsi di fine anno dei Presidenti della Repubblica italiana. In 70 anni circa l’idea di futuro del nostro Paese è cambiata tre volte. Negli anni ’50 e ’60 i Presidenti temevano che l’Italia non ce la facesse a risollevarsi dal baratro della miseria degli anni di guerra e dai loro discorsi presidenziali emergeva l’idea di un futuro ancora minacciato dalla paura della fame, dalla mancanza di lavoro, dalla necessità di emigrare verso paesi più ricchi. Negli ’70, ’80 e ’90, invece, la paura per il futuro dell’Italia veniva da problemi di ordine interno: terrorismo, mafia, corruzione pubblica. Negli anni Duemila, tutto cambia, il timore per il futuro del nostro Paese non dipende più da ragioni interne ma da fattori esterni: attentati jihadisti, processi migratori senza controllo, riscaldamento globale del Pianeta. Nell’arco di poco più di mezzo secolo, l’incertezza per il futuro nazionale non è più legata a minacce interne ma esterne.
Così sta accadendo nello sport e nello sci in particolare. In passato si temeva di non poterlo praticare per ragioni nostre, ragioni interne: mancanza d’impianti di risalita e di piste di buon livello, eccesso di costi per le famiglie, troppo poco tempo per allenarsi bene tra impegni di lavoro o di scuola. Oggi, invece, sono ragioni altre, esterne, quelle che ci impediscono di pensare in termini positivi al futuro dello sport, al futuro dello sci. Il mondo sta cambiando in peggio, anche lo sport cambierà in peggio.
Ma sarà vero? Non lo so. So però che c’è una differenza enorme tra come ieri pensavamo il futuro e come lo pensiamo oggi. In passato, perché le ragioni delle nostre paure per il futuro erano interne, circoscritte, si aveva sempre una soluzione alternativa che garantiva un’idea comunque positiva di futuro. Per esempio, se andava male l’Italia, i giovani potevano sognare l’America; se eri cresciuto nella miseria, potevi con lo studio e il lavoro sperare in un futuro di riscatto; se un dato sport, la corsa con le bighe, stava declinando, ve ne erano mille che andavano alla grande. L’idea odierna di futuro, invece, perché minacciata da fattori esterni, globali, non ha soluzioni. Finirà tutto ovunque per tutti. È una prospettiva negativa, assoluta, senza rimedio.
Ma che finirà davvero tutto, questo non lo sa nessuno e quindi non è giusto dirlo. È giusto, invece, capire e dire che se vogliamo davvero, come sostengono tutti, salvare il Pianeta, prima di ogni cosa dobbiamo salvare la nostra idea di futuro, la nostra visione positiva del lavoro, dello studio, dello sport, dello sci, della vita in questo bel Pianeta.

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