Selfie sportivi

Pubblicato su Sportivissimo, aprile 2018

Se dovessi associare questa stagione sciistica a una parola, questa sarebbe “selfie”. Mai visti e fatti così tanti. Decine e decine a uscita. Ogni curva o quasi uno scatto, propriamente un “autoscatto”. Di amici che me li inviavano, di cui vorrei parlarvi dopo, miei che me li facevo, che sono il tema d’inizio di questo Editoriale. Lo sapevo che lo sci, come tutti gli sport, alimenta il nostro narcisismo, ma non pensavo fino a questo punto. Dopo i primi, non sono più riuscito a smettere. In campo libero, tra i pali continuavo a farmeli e a farmeli fare. All’inizio la cosa mi piaceva. Conoscere la propria sciata, ovvero i propri limiti, è utilissimo per progredire, per migliorarsi, ma dopo un po’ si entra in una specie di spirale inibitoria. E non ci si migliora più. Perché si diventa succubi della telecamera, ovvero di quello che essa registra, cioè del proprio gesto tecnico. Ovviamente lo sci è tecnica, ma sciare è andare oltre la tecnica. Che significa umanizzarla, renderla una parte di noi, dei nostri movimenti più comuni. Sciare è sentire lo sci, percepire che conduce, che corre. Non si scia pensando alla caviglia, al braccio, al collo. Sarebbe come dire che quando si parla, si pensa alla grammatica e alle sue mille regole, mentre si parla e basta, e chi è bravo a farlo, parla e noi non percepiamo parole ma pensieri. Era diverso, invece, quando si traduceva dal latino. Allora sì, era tutta una regola. C’è da chiedersi, se il più moderno degli strumenti, ci faccia andare sciisticamente indietro invece che avanti; se avere una percezione troppo esatta di come sciamo, non ci faccia sciare troppo costruiti, come quando si traduceva dal latino… Sulla pagina Facebook di Sportivissimo ho caricato un mio video per dare la possibilità di risolvere questo dubbio.
Ma, dicevo, sono tanti anche i video altrui che ho visto. Davvero tanti. E non solo per ragioni di miglioramento tecnico. Ci si riprende anche e soprattutto per registrare ciò che si fa e poi postarlo per renderlo pubblico. Non solo lo sci, ovviamente, vive questa marcata esposizione. I ciclisti condividono direttamente dal computerino della loro bici i chilometri e le altimetrie pedalati nel giorno. Siamo nell’epoca social in cui tutto deve esser condiviso da tutti. Nello sci ci si mette la Go Pro sul casco e si registra ogni curva e curvetta, ogni salto e saltino che si fanno. Più dei selfie fatti alla ricerca della curva perfetta, i selfie fatti per documentare una discesa “spettacolare” in neve fresca mi sono venuti a noia.
Poi ne ho ricevuto uno di un amico. Non me l’ha mandato lui, come capirete. Si vede mentre scia, ha la telecamera sul casco, a un certo punto fa un piccolo salto di un sasso, siamo in zona Fedaia. Il pendio è facile. Molto facile. Lui e il suo amico sono appena scesi dalla Marmolada. Sono nei prati finali. Dopo il saltino del sasso, il mio amico si gira per vedere dov’è il suo compagno e, un attimo dopo, si trova nel vuoto. Si vede la neve mancargli sotto gli sci. Si vede, sotto, la strada. Un salto di 12 metri. Come cadere dal terzo piano di un edificio. Non si era accorto, ma stava sciando sopra la galleria del passo Fedaia. La volta della galleria finisce e lui si trova nel vuoto. Improvvisamente. Il mio amico è giovane, ha fatto gare di discesa libera in Coppa Europa, è maestro di sci, il migliore del suo corso. Ma sono 12 metri di salto sull’asfalto. Mentre è per aria, non si sente nulla. La reazione per cercare di cavarsela è più forte della sorpresa per quello che gli sta accadendo. Non son mai riuscito a terminare di vedere quel video, perché il proseguo registra i suoi soffocati lamenti.
Si è rotto talloni, ginocchia e bacino, ma è vivo. E’ stato operato e ritornerà, nel tempo, a sciare. Quel video mi è arrivato più volte attraverso i vari gruppi di WhatsApp di sciatori e mi chiedo: chi l’ha scaricato dalla sua Go Pro? Chi ne ha fatto un file da tutte le registrazioni di quella giornata? Soprattutto, chi, a botta calda, quando lui era a pezzi sull’asfalto e sono arrivate le ambulanze e poi l’elicottero che l’ha portato a Belluno e poi a Mestre, gli ha preso la telecamera dal casco, facendo, mentre lui era in volo e non si sapeva ancora se sarebbe riuscito a cavarsela, girare il video del suo “volo”? Qual è il senso di rendere pubblico, “social” appunto, quella ripresa? Essa non mostrava un’azione spettacolare e basta; registrava un incidente grave, che avrebbe potuto essere mortale; ha registrato i lamenti di un giovane che avrebbe potuto essere nostro figlio. Suo padre su Instagram ha scritto: “Ci sono cose che non dovrebbero essere pubblicate sui social: ma la sensibilità e il rispetto pare siano valori ormai perduti. “Quel video” era destinato a pochi ma buoni. Non era per tutti, altrimenti lo avrei postato io. Qualcuno non ha capito. Peccato. Era facile”.
Pensatela come volete, ma anche i banali selfie e la facilità di pubblicazione, che la moderna tecnologia permette, hanno i loro lati oscuri: usare la testa funziona anche per loro.

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