Sciare con i Classici

Pubblicato su Sciare Magazine, novembre 2017

In questi giorni sto raccogliendo i miei Spigoli in un libro, come ha fatto il nostro direttore con i suoi Editoriali. Lo sto facendo, perché il libro di Marco mi è molto piaciuto, mi ha permesso di leggere e di rileggere più di quindici anni di pensieri sullo sci che altrimenti sarebbero andati perduti, se non fossero stati raccolti in un libro. Questo tipo di lavoro, mi ha costretto a rileggermi e a rendermi conto che in più occasioni ho affiancato al nome dei campioni dello sci, campioni del mondo classico. Cosa c’entrano gli uni con gli altri? Che senso ha scrivere (e leggere) di Edipo e compagni su Sciare? Ovvero, perché si leggono i classici ancora oggi, quando sono morti da quasi 3000 anni e non sanno nulla, ovviamente, dei nostri problemi di uomini contemporanei, ma nemmeno sapevano cos’erano gli sci, sebbene fossero usati già 1500 anni prima?

Nell’Odissea, il libro più antico della nostra letteratura, Omero racconta che Odisseo è sceso nell’Ade a interrogare gli spettri. Perché Odisseo interroga i morti? Omero lo spiega e, spiegandolo, risponde alla nostra domanda sul perché noi leggiamo (interroghiamo) i classici, che sono anch’essi morti, che sono anch’essi degli spettri.
Innanzitutto quando leggiamo i classici noi, come Odisseo, scendiamo nell’Ade, ovvero entriamo nel più grande mistero di tutti i misteri e questo di per sé è già un modo di avvicinarsi alla verità.
Inoltre come Odisseo nell’Ade conosce il proprio futuro (dall’incontro con il mago Tiresia) il proprio passato (dall’incontro con la madre) il proprio recente vissuto (dall’incontro con i compagni di guerra)… e, scrive Susanetti, “armato di tale conoscenza che viene dalla dimensione dell’aldilà, egli può infine dirigersi a casa, riconquistare il proprio vero “sé” ed affrontare ciò che ancora segna il suo destino”… noi, leggendo i morti e interrogandoli, possiamo comprendere la nostra esistenza, il nostro destino e a nostra volta armati di tale conoscenza… riconquistare il nostro proprio “sé” e affrontare ciò che la vita ci riserva.
Leggiamo quindi per conoscerci e nella conoscenza fortificarci. Per questo si leggono i classici ancora oggi: attraverso la confidenza dei misteri della loro vita, comprendere quelli della nostra.
Ma perché leggerli mentre andiamo a sciare (e su Sciare), perché pensare alla loro esistenza, mentre si risale, soli, in seggiovia e non, piuttosto, relegarli al tempo della scuola, dello studio o nelle occasioni in cui si va a teatro?
Omero, sempre lui, ci dice che non basta leggerli o ascoltarne una rappresentazione per capire, per conoscersi. Egli racconta che Odisseo scende nell’Ade per una ragione ben precisa: vuole tornare a Itaca e vuole sapere se e come ci riuscirà. Odisseo non scende quindi nell’Ade per diletto o per superficiale curiosità, ma perché è in gioco la sua stessa vita. Omero ci sta dicendo, che non si leggono i classici perché qualcosa o qualcuno ce lo impone: gli studi liceali o universitari, un certo status sociale, il sentirsi colti e diversi e quindi “fighetti” citando un passo a memoria; i classici si leggono per interrogarli su questioni precise, si interrogano se c’è un’urgenza vera, come Odisseo interroga gli spettri sul proprio destino. Perché gli spettri e i classici hanno bisogno di “sangue” per rianimarsi e parlare. Senza quest’urgenza, senza questo sangue, la lettura è vana. Scolastica. Liceale. Snob. Inutile.
Domanda finale: “allora, cosa vale di più: leggere gli antichi a scuola, ascoltarli a teatro o andare a sciare con loro, dove viviamo l’autentica urgenza di conoscere, di conoscerci?”

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