Requiem per una pista

Pubblicato su Sportivissimo, novembre 2017

Così anche Recoaro Mille, quest’inverno rimarrà chiuso. Anche la nostra “busa”, dove tutti, qui, abbiamo imparato a sciare, la prossima stagione non aprirà. È una sorte che è capitata ad altri, prima. Boscochiesanuova, chiuso già dall’anno scorso, le Fratte di Tonezza, chiuse da anni, Le Melette di Gallio, anch’esse chiuse da due stagioni. Stazioni storiche dello sci vicentino e veronese hanno chiuso prima di Recoaro. Sciare nelle Prealpi è diventato molto difficile, quasi impossibile. Ma anche sulle Dolomiti le difficoltà sono enormi. Lo scorso inverno è rimasto chiuso il Passo Rolle, che non è a mille metri, ma oltre i 2000. È fallita la Sitr, la società che gestisce gli impianti. Troppi costi, troppi debiti. Anche il Nevegal sta soffrendo e, ad ogni nuova stagione, è in forse la sua apertura.
Non sono posti qualsiasi, questi. Sono luoghi in cui è passata la storia dello sci. A Recoaro Mille si sciava già dalla fine degli anni Venti. Nel 1923 Gino Soldà portò a Recoaro il primo paio di sci, cimentandosi nelle prime discese. Lo imiteranno da subito in tanti, primo tra tutti il fratello Italo che a solo 5 anni imparerà a sciare per diventare poi uno degli sciatori più forti e più bravi d’Italia della sua generazione. Ma a Recoaro Mille, già negli anni Venti, sciava Nilde Cocco e questo è una specie di record dello sci femminile mondiale.
Recoaro Mille è stata una culla di sciatori non comuni. In quella pista ripida e stretta che è Monte Falcone si sono formati grandi maestri di sci, conosciuti e stimati in tutto l’arco alpino. Italo Soldà ha diretto la Scuola di Sci Sestriere, è stato un pioniere dello sci estivo, ha avviato la scuola del Tonale, del Bondone, è stato autore di libri di tecnica sciistica e con altri ha firmato la prima progressione dello sci italiano, quella storica del 1958, oltre a essere stato il primo sciatore italiano a compiere il salto mortale con gli sci. Ma oltre a Italo, a Recoaro Mille sono cresciuti allenatori di squadre nazionali, quella Azzurra, Marco Garbin, quella Spagnola, Carlo Pianalto. E poi tanti che sono stati direttori di famose scuole di sci: a Foppolo, ad Andalo, al Bondone, a Panarotta, a Folgaria, a Boscochiesanuova; tanti che hanno fatto gli allenatori negli sci club, tanti che hanno fatto i maestri un po’ dappertutto e sempre distinguendosi come ottimi sciatori. Lo sci recoarese, nato in quella “buca” con due piste, una troppo facile e una troppo difficile, ha sempre avuto un grande respiro. Sciare, insegnare e pensare allo sci in qualsiasi luogo e con qualsiasi responsabilità non sono mai stato un problema per uno sciatore di Recoaro. Nella storia e nel presente del Grande Sci, da quello della tecnica, a quello dell’insegnamento, da quello della direzione di scuola a quell’impegno politico, dallo sci pensato a quello scritto, si trova sempre un nome di uno sciatore di Recoaro Mille. Questa è la storia.
Adesso, però, è finito tutto. Quella piccola miniera di “caratteri” dello sci si è chiusa. E’ un peccato. Un enorme peccato!
In giro, nella valle, si dà la colpa alla gestione; in giro, fuori dalla valle, si dice che tutto è causa del riscaldamento del Pianeta che non fa più nevicare. Personalmente non credo né all’una né all’altra di queste motivazioni. Certo qualche errore di gestione vi sarà stato, come ci sarà stato in tutte le altre stazioni che hanno chiuso: Bosco, Melette, Le Fratte, Rolle…, e, sicuramente, il tempo di questi ultimi anni non ha aiutato, perché se nevicasse anche in pianura, sarebbe tutto più facile, ma non dimentichiamoci che il Rolle è alto e lì la neve c’è sempre stata: al Rolle si sono sempre disputate, anche in anni recenti, le ultime gare di stagione, perché era il posto in cui la neve si scioglieva per ultima. No, non è una questione di gestione: chi ha gestito in questi anni le stazioni di sci in qualsiasi parte dell’arco alpino ha fatto sacrifici enormi e va rispettato e stimato; e non è nemmeno una questione di neve, lo scorso anno abbiamo sciato tantissimo e benissimo sulla neve artificiale che oggi è una garanzia che in passato non c’era. Né difetto di gestione, né scarsità di neve, la questione è un’altra.
Quando nascevano le stazioni invernali come Recoaro Mille, l’Italia era un paese diverso. Con meno scartoffie, con meno casini burocratici, meno cavilli su ogni cosa. Bastava che un gruppo di amici decidesse di mettere un po’ di soldi su un’idea e partivano le ruspe per tracciare la pista; chi investiva, metteva il 90% in opere, il restante 10% in orpelli vari. Bastava chiedere a un ragazzo se aveva voglia di prendersi quattro soldi e, se diceva “sì”, quel giorno stesso veniva impiegato al gancio di risalita. Chi finiva la scuola ed era in attesa di partire per il militare, andava a fare lo skiliffista in “Busa” finché non arrivava la cartolina di precetto. Nessun contratto a tempo indeterminato, non bisognava inventarsi un lavoro per tutto l’anno. Chi voleva e se la sentiva, saliva sul gatto delle nevi e la sera iniziava a battere le piste. Sui seggiolini non c’era la sbarra di sicurezza. I bambini piccoli salivano in braccio del genitore o di un amico, che oltre al “bocia” si portava sottobraccio gli sci di entrambi. I controlli sulle funi e su tutto il resto erano minimi. Nelle biglietterie non c’era il registratore o il computer di cassa. Il commercialista lo vedevi una volta l’anno o forse nemmeno. Se qualcuno salendo in seggiovia, cadeva, si sentiva un fesso; se allo skilift il gancio gli finiva in testa, si sentiva un mona; se sciando, prendeva una buca o andava addosso al “fagaro” e si rompeva una gamba o la testa, si vergognava di essere così scarso. Per decenni nessuno si è mai sognato di esporre una denuncia alla società impianti per “gravi” inadempienze nella cura delle piste. Non esistevano obblighi di rete, né di materassi su alberi e piloni. Era solo sci.
Era un’Italia diversa e diversi erano gli italiani. Quello che ha fatto saltare il banco, è stata questa metamorfosi sociale, più della mancanza di neve e degli errori di gestione. Perché oggi è tutto complesso. Le adempienze normative che una stazione e i suoi amministratori devono sostenere sono senza fine. In termini di denaro sono centinaia di migliaia di euro. Di un investimento, il 75% va in tasse e affini, il restante 25% in opere. Uno squilibrio che una piccola, gloriosa stazione non può più sostenere. È bastato che si aggiungesse il costo della neve artificiale ed è saltato tutto.

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