Iter ad deum

Pubblicato su Marana York, giugno 2017

Composto di sole vocali, il verbo latino “AVIEO”, in cui V è da leggersi – appunto alla latina – indistinta da U, significa “poetare”. Lo dice Dante che ne spiega il significato nel Convivio: “fatto… di sole cinque vocali… a figurare immagine di legame… [Avieo] significa legare parole”.
Come le vocali, è il ragionamento di Dante, sono le lettere che legano a sé le consonanti, cum sonanti, per dar forma alle parole, così il verbo “AVIEO”, tutto di vocali leganti, “è figura di legame” tra le parole. E poiché “AVIEO” è un verbo speciale per la sua composizione assoluta e unica, esso non può che riferirsi a quel legar parole, unico, assoluto e speciale, che è il fare poesia. Per questo motivo “AVIEO” significa per Dante “poetare”, anche se egli non lo usa mai, se non una volta nel De Vulgari Eloquentia e una nel Convivio, in cui ne spiega appunto il significato.
Questo verbo eletto e raro, tutto composto “ne la sua prima voce” di vocali, non viene fatto rientrare tra le occorrenze dantesche in rima, né tra quelle di un qualsiasi altro poeta della letteratura italiana dalle origini ai giorni nostri. La grande poesia non parla della sua pratica, perché i temi che prevalgono sono altri e, tra tutti, quello più alto di ogni altro: la poesia in lode di midons. Della propria donna. La poesia che canta il legame, assoluto e unico, con colei che è la compagna imprescindibile dell’uomo nell’iter ad Deum, in cui nemmeno la morte fa venir meno il legame d’amore, ma anzi lo rafforza oltre ogni limite. La donna diventa quel tutto che è la Beatrice del Paradiso, la Laura della seconda parte del Canzoniere. “Avieo”, allora, “figura di legame”, esprime nel suo primo e massimo significato quel comporre poesie sul legame, assoluto e unico, che si ha con la donna della propria vita.
Le poesie che costituiscono la prima parte di questo libro esprimono “avieo” nel suo più alto e proprio significato. Sono poesie intense e bellissime sul legame che ancora e per sempre unisce Ignazio a Itala tanto nelle piccole cose:

sei il mio silenzio
in cui ti ritrovo nella quotidianità
d’ogni giorno

quanto nelle grandi visioni:

ti ritrovo
nell’ordine del Creato
e della sua irripetibile bellezza.

Itala è sempre l’Itala che fu in vita. Itala personaggio della poesia non diventa mai simbolo di alcunché, ella è sempre presenza che si rinnova ogni giorno, donna vera, fisica, in carne e ossa:
accostati,
stringimi a te,
fammi sentire il calore del tuo corpo
come una volta.

e ancora:

Voglia di Te a dismisura mi prende

e struggente desiderio di riaverti

fino a:

… abbracciami
forte stringimi la mano
che l’odore di te
a lungo rimanga
a farmi compagnia

e ancora, quasi a far immaginare, subito quietato, un desiderio erotico:

Voglia pazza di un tempo
ancora mi prende
di piangerti in grembo
di perdermi in Te.

Itala è ancora tutta donna. Ancora fertile centro di vita.

Mutata, non cessata
è la convivenza nostra.

Nei precedenti quattro libri, Palmeri aveva affrontato il grande tema del tempo, vivendone tutta l’angoscia del suo inesorabile consumarsi. La vittoria della memoria sul passato perduto e poi quella della lotta vitale sul presente che fugge, infine la vittoria della speranza sull’incerto futuro, che furono i temi portanti della sua poesia, non erano che timide anticipazioni della grande vittoria che in questo nuovo libro si celebra: lo disvelamento del mistero sulla fine del tempo a cui, attraverso Itala, Ignazio definitivamente accede. La morte non è più fine di tutto, ma la morte è il tempo della riconciliazione con lei: la morte è nuovo tempo che viene.

Tempo verrà, verrà tempo
Che insieme ci vedrà ancora
E sarà per sempre, senza fine.

Il legame che univa Ignazio e Itala in vita si è fatto, adesso, inscindibile:

legati fin da quando l’oro
ci scambiammo al dito,
nessuno, nemmeno l’Aldilà,
oserà rubarci
la vita che fu nostra.

e
l’indissolubile connubio
dei nostri due esseri,
oltre la vita terrena
e la corporea morte.

Itala è diventata la guida sicura e protettiva per l’Aldilà:

quando la campana suona per me
prendimi per mano e portami con Te
perché non mi smarrisca

conducimi dove tramonto
non conosce il sole,
né la vita morte.

Il tempo, quindi, non ha fine e la morte è vinta e con essa la grande paura del nulla, della fine di ogni cosa:

non ti temo,
nulla,
ché la vita,
che da te ha preso vita,
non può morire.

La grande ricerca di Palmeri si sta per concludere:

Placa la mia sete,
amore mio.
Da te
un’indicazione ora m’aspetto,
un segno

nella cognizione acquisita che:

una certezza sorregge il mio andare:
alla fine del viaggio mio terreno,
certo ne sono,
ad attendermi
ci sarai Tu,
Amore Mio…

post scriptum:

Nel 2014, in occasione della pubblicazione de Il tempo del tempo che verrà, a casa di Mario Bardin, uomo di cultura e caro amico, si è tenuta la presentazione del volume appena edito. In una successiva serata, sempre nella stessa dimora, è stata organizzata una libera lectura poetica. Alcuni amici della casa hanno letto una poesia, scegliendola da quell’antologia personale che ciascuno di loro è andato idealmente a raccogliere negli anni. Poesie e vita. Attraverso le poesie di altri, raccontare se stessi. Tra gli immancabili Leopardi, Pascoli, Neruda, anche Rebora de L’immagine tesa e Dante con le terzine dedicate al principe Manfredi e, in questa bella scola, anche A chi me lo chiede di Ignazio Palmeri. Né Ignazio né io eravamo presenti. Quella poesia è stata scelta per se stessa. Era diventata “emozione” e “racconto” di chi la leggeva. Questo accade con la Poesia.

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