Un pensiero per Schumi

Pubblicato su Sciare, gennaio 2016

Ogni tanto penso a Schumi. Penso a Schumacher che è caduto con sci e ha finito lì la sua vita speciale di campione. Poteva fare quella fine in auto. Ci sarebbe stata una logica, una tragica logica ma pur sempre una logica, che ne avrebbe dato una parvenza di spiegazione: l’automobilismo gli ha dato tutto; l’automobilismo si è preso tutto. Lo sci non c’entrava. Lo sci non gli aveva dato nulla, al massimo semplici gioie di una giornata passata a sciare in famiglia. Lo sci non avrebbe dovuto presentargli alcun conto. Schumi sciava come chiunque altro. Senza rischi, imprudenze, curve al limite nella corsa per il successo, per l’oro, per la gloria. Finire così è una logica assurda, cioè non c’è alcuna logica. Non è possibile spaccarsi il cranio per una semplice attraversata da una pista all’altra in una giornata di sole durante una sciata con i propri figli. Come sciatori, viviamo quasi un sentimento di colpa. Perché proprio il nostro sport ha fermato quella vita eccezionale? Perché quell’uomo che era riuscito a battere ogni record al volante di una monoposto, che era riuscito a essere il più forte in assoluto nella storia di uno sport che è molto più pericoloso del nostro è caduto con gli sci ai piedi compiendo un semplice attraversamento? Sono passati due anni da quel giorno e ogni tanto, come sciatori, non possiamo non pensare a lui e, facendolo, maledire lo sci che amiamo tanto. Ma lo sci non ha nessuna responsabilità! Lo sci non c’entra in questa storia! Nemmeno tecnicamente, era solo un attraversamento. Non c’è alcuna spiegazione, non c’è alcuna ragione, non c’è nulla da capire sulla vicenda di Schumi e su quell’assurda giornata con gli sci; non c’è nulla, come sciatori, di cui dobbiamo rimproverarci; c’è solo, di tanto in tanto, il dovere di rivolgergli un pensiero.

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