I ragazzi della Rinascente e noi

Pubblicato su Il nostro Campanile, gennaio 2016

Nella sua “Storia d’Italia” Indro Montanelli fa iniziare il Sessantotto “operaio”, il movimento rivoluzionario contro gli industriali “padroni”, a Valdagno con l’abbattimento del monumento a Gaetano Marzotto senior e con la frantumazione delle vetrine del negozio della Rinascente, avvenuti il 19 aprile di quell’anno. L’agitazione studentesca della Sorbona accadde un mese dopo ed è passata alla storia come “il maggio francese”. Nessun luogo in Europa poteva rappresentare, come Valdagno, la potente ingerenza della fabbrica e della sua proprietà sulla comunità civile e la sua amministrazione. Attaccare nell’aprile del ‘68 Marzotto a Valdagno era per gli ideologi del movimento marxista colpire il cuore di una concezione totalizzante se non addirittura totalitaria del fare impresa che considerava la città e i suoi residenti un tutt’uno con la fabbrica e i suoi lavoratori. Marzotto fu attaccato perché, a detta dei contestatori, era “colpevole” di aver ridotto un’intera comunità alle sue dipendenze; perché aveva “segregato” i valdagnesi in quartieri-ghetto da lui stesso edificati; perché li aveva resi a lui “asserviti” dentro e fuori la fabbrica, imponendo loro, oltre al lavoro, l’asilo, l’ospedale, gli stadi sportivi, il dopolavoro, l’arte, la scuola, la cultura, il ricovero, e perfino le case. Aveva condizionato generazioni e generazioni di valdagnesi alla spietata logica del profitto della fabbrica che altro non era che il suo. Valdagno era il caso più manifesto del dominio capitalista sulla persona e le sue libertà che il movimento rivoluzionario voleva abbattere. Ma in realtà “la Valdagno dei Marzotto” fu solo un vago simbolo tra i tanti di quel movimento che teorizzava “l’immaginazione al potere”, che invitava al “siate ragionevoli, chiedete l’impossibile”, che, scrive Montanelli, “rifiutava la logica in quanto borghese”. Valdagno fu tra le primissime astrazioni ideologiche del Sessantotto, perché, quella sera del 19 aprile, i capi rivoluzionari non erano operai della Marzotto, né studenti di Valdagno ma giovani provenienti da fuori vallata. Non c’erano i “ragazzi della Rinascente” a devastare i locali della Rinascente. Né avrebbero mai potuto farlo. Oggi sappiamo con certezza, perché lo si respira profondamente nell’intenso libro di Francesco Busato, I Ragazzi della Rinascente, (Mediafactory edizioni, 2015), che chi era cresciuto tra quelle case e quelle piazze mai avrebbe potuto confondere la Città dell’Armonia per un anonimo sobborgo industriale. Al contrario chi aveva abitato quelle case, camminato tra quelle strade ampie e ordinate, frequentato scuole, palestre, stadi e teatro aveva piena coscienza, come emerge potentemente dal libro di Busato, del privilegio di vivere in uno dei quartieri meglio riusciti dell’architettura del primo Novecento, una specie di piccola Eur del nord, edificata su un grandioso pensiero di fondo: coltivare, attraverso l’arte, la cultura, l’istruzione, lo sport il sentimento dell’armonia tra le persone che la abitano, perché, come dice una frase che si trova nella sala consiliare della città di Grado, “nell’armonia piccole cose diventano grandi; nella disarmonia grandi cose diventano piccole”.
A oltre 80 anni dal compimento di quel sogno grandioso di Gaetano Marzotto di fondare una città ispirata all’armonia e a quasi 50 anni da quell’aprile rivoluzionario che la voleva distrutta, per la prima volta un valdagnese, cresciuto e vissuto in quella cittadella, ci racconta quale straordinaria esperienza di vita è stato essere “un ragazzo della Rinascente”. Francesco Busato è stato capace di farci capire cosa ha significato per tanti ragazzi della sua generazione crescere nei valori dell’arte, della cultura, dello sport: vivere da protagonista quel progetto umanistico di formarsi nel sapere, nel pensiero, nella bellezza.
Così le pagine più intense sono proprio quelle in cui l’autore in dialogo con il conte Gaetano rivela l’ispirazione essenzialmente platonica della Città dell’Armonia, dove la bellezza delle idee e delle opere porta le persone a migliorarsi e all’essere più felici. L’eredità più alta quindi che il passato marzottiano ci ha lasciato, ci fa capire Busato, sono sì le migliaia di metri cubi di edifici industriali, sociali, residenziali, culturali, sportivi realizzati, ma è soprattutto il verbo con il quale tutti quegli edifici sono diventati città, quell’armonia appunto della comunità che è il pensiero più alto, il pensiero sempre attuale per ispirare l’azione politica di qualsiasi tempo. In nessun luogo al mondo si è mai tentato un progetto urbanistico-sociale altrettanto ispirato e edificante, e i valdagnesi, come già aveva notato Guido Piovene, vi facevano parte.
Con coraggio Francesco Busato ci ha raccontato quegli anni straordinari, riconoscendo al suo ideatore l’assoluto merito, soprattutto quello di aver lasciato i valdagnesi liberi di servirsi e di godere di tutto ciò che la Città offriva, come emerge nel dialogo tra il ragazzino-protagonista e il conte, dove è sempre il primo a descrivere al secondo le meraviglie di quella che egli sente “la sua casa, la sua corte, la sua città”; con coraggio ora dobbiamo chiederci perché quell’ideale di città oggi sia andato perduto. Perché il Rivoli non è più un’opera d’arte; perché la grande piazza è diventata la CIATSA, perché i premi internazionali di cultura sono oggi le bancarelle sotto i portici. La Città dell’Armonia era stata concepita come uno straordinario trampolino per il nostro miglioramento ma anziché da esso spiccare il volo, pare che abbiamo preferito scendervi dalle scale. Il libro di Francesco Busato, se da un lato ci inorgoglisce per ciò che in passato siamo stati, dall’altro non può non farci riflettere su ciò che saremmo, se avessimo continuato a essere “i ragazzi della Rinascente”.

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One Comment on “I ragazzi della Rinascente e noi”

  1. 1 Paola van der Meer said at 1:38 pm on February 16th, 2016:

    Ringrazio l’autore di questo articolo per avermi confermato ciò che ho assaporata e vissuta in più di 40 anni in questa bella valle. Mi chiedo però com’è stato possibile a farsi sopraffare da “foresti” e di permettere la distruzione e il quasi annullamento di quanto pensato per il bene di tutta la comunità.


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