A Chiampo con Creonte

Pubblicato su Il Nostro Campanile, Agosto 2015

Accade a Chiampo, in una calda serata estiva, in un parco di una villa antica, di poter ascoltare una lettura espressiva dell’Antigone di Sofocle. A proporla, a quasi quattrocento persone, non è stata, questa volta, una delle solite compagnie professionali o quasi che i vari assessorati alla cultura chiamano per animare le stagioni teatrali delle città italiane, secondo quello stile “ti do il classico e poi muori” che fa dell’evento culturale uno spettacolo come un altro, senza riflessione, condivisione, approfondimento. A proporre Antigone, questa volta, è stato un gruppo di amici, attori per puro diletto, di Chiampo e anche di Valdagno che hanno accettato la sfida, temeraria quanto geniale, lanciata da Mario Bardin – medico chiampese, studioso dello Zanella e appassionato d’arte – di mettersi essi stessi in gioco e farsi “attori” di cultura, per lasciare un segno speciale, uno stimolo diverso e nuovo di vivere l’arte nelle nostre valli. Sfida temeraria, perché recitare l’Antigone, che Hegel definì “la tragedia sublime per eccellenza e, sotto ogni punto di vista, l’opera d’arte più perfetta che lo spirito umano abbia mai prodotto”, è di per sé impresa ardua, che diventa appunto temeraria se la si recita “in casa” da attori amabilmente alla loro prima esperienza; sfida geniale, perché Antigone, “il capolavoro dei capolavori” (così Hebbel) su cui si è confrontata gran parte della filosofia e della letteratura degli ultimi duecento anni (come ha documentato Steiner nel suo straordinario libro “Le Antigoni”) è un’opera profondamente zanelliana e lo Zanella è il poeta di Chiampo che la città non vuole giustamente dimenticare. Chiampo quindi recita Antigone a Chiampo in onore del suo poeta: impresa temeraria e geniale ma soprattutto impresa di raffinata provocazione culturale.
La tragedia sofoclea racconta il drammatico conflitto tra Antigone e Creonte, dopo che, finita la guerra civile con la morte di entrambi i fratelli di Antigone, Eteocle e Polinice, che avevano combattuto l’uno contro l’altro, Creonte, tornato a essere il tiranno di Tebe, impone l’ordine ricostituito con un simbolico atto di potere. Ordina che Eteocle sia sepolto con tutti gli onori, perché ha combattuto nella difesa della città, mentre vieta la sepoltura a Polinice che aveva osato conquistare la città, in modo che fosse chiaro al popolo chi era nel giusto e chi no. Ma Antigone, mossa da pietà fraterna, cioè da quelle “leggi non scritte degli dei” che vivono nella coscienza di ciascuno, non può tollerare che il cadavere del fratello finisca cibo per cani e avvoltoi, e così contravviene al divieto del sovrano fino a pagarne le estreme conseguenze.
Per Steiner, il confronto tra Antigone e Creonte è una concentrazione dei cinque principali conflitti della condizione umana. È il conflitto tra donna e uomo, che verrà ripreso nel Tristano e Isotta di Wagner; tra giovane e vecchio, che sarà il tema del Re Lear di Shakespeare; tra individuo e società come nel Don Carlos di Schiller; tra i vivi e i morti, proprio del viaggio dantesco; tra l’uomo mortale e la divinità, che sta al centro dei romanzi di Dostoevskij. L’Antigone di Sofocle, sostiene Steiner, è il testo che contiene tutti questi cinque conflitti, tuttavia ce n’è un sesto, non meno profondo degli altri che la splendida serata di Chiampo ci ha rivelato, ed è quello che suggerisce Zanella nel Milton e Galileo: il confronto-conflitto tra le leggi della scienza e le leggi divine.
Ed è qui allora che scatta la raffinata provocazione dell’Antigone di Chiampo. Se nei primi cinque conflitti, tutti abbiamo parteggiato, commossi, per la dolce Antigone contro il prepotente Creonte, nel sesto conflitto, quello che contrappone le leggi della scienza alle leggi divine, non è più così. Antigone non è più la debole donna, la giovane, l’individuo, il comandamento morale, la voce interiore del Dio che ci parla e ci indirizza, contro il potente Creonte, l’uomo, il vecchio maturo, la società, le inique leggi dello Stato. Antigone, nel sesto conflitto, è la verità dogmatica, la verità di chi, sola, sente la voce del Dio, della Chiesa, contro Creonte, l’uomo che prova a darsi una perfettibile legge sui fatti fisici dell’universo, dell’arte. La sacerdotessa contro lo scienziato, contro l’artista.
Invero già Hegel, che adorava il personaggio di Antigone tanto da definirla “la divina Antigone”, intravide nella sua scelta estrema un pericoloso culto per la famiglia e i suoi legami di sangue; un culto sotterraneo, inferiore e primitivo, espressione di una morale privata cui lo Stato nella sua alta idealità di realizzare il bene comune “non avrebbe dovuto sottomettersi senza provocare una regressione tribale” (Magris). Ma è soprattutto qui, nello zanelliano conflitto tra le leggi della scienza e leggi divine, tra Galileo e la Chiesa, che Creonte viene riabilitato. Creonte è il laico, l’uomo della legge positiva, della legge sempre perfettibile dello Stato, dell’arte, della scienza contro Antigone, l’invasata paladina delle eterne leggi divine delle chiese. Zanella, sebbene fosse un prete, aveva intuito la grandezza vitale delle leggi scientifiche e artistiche, nate dalla ragione dell’uomo per il progresso della sua civiltà, contro l’oscurantismo di talune leggi della Chiesa imposte nel nome di Dio. È in questa accezione allora che l’Antigone di Chiampo, l’Antigone zanelliana di Bardin scatena la sua raffinata provocazione. Siamo certi che abbia sempre ragione Antigone? Che la colpa sia sempre tutta di Creonte? Siamo certi che le leggi della coscienza, le leggi morali dentro di noi, le leggi “non scritte degli dei” siano davvero principi universali? O forse molte di quelle leggi non siano solo primitivi pregiudizi, oscure pulsioni, ciechi sentimenti, originati nella notte dell’umanità? Chi dice oggi di ascoltare un Dio, di farsi guidare, come Antigone, dalla divinità, sa macchiarsi di azioni orribili. Dirotta aerei per farli schiantare contro i grattacieli; s’imbottisce di esplosivo e si fa saltare in aria tra le persone innocenti; può lasciar morire il proprio bambino piuttosto di fargli una trasfusione di sangue. Oggi “fare le Antigoni” è anche affrontare il micidiale fenomeno degli sbarchi clandestini solo nel nome della misericordia cristiana, della voce interiore che ci vuole tutti fratelli.
È vero, Sofocle ha posto un dilemma cui non corrisponde una risposta univoca e precostituita. Antigone muore, come ha visto Hegel, nella consapevolezza “che la sua altissima scelta è anche una colpa” così come Creonte alla fine comprende che la sua legge è iniqua e vorrebbe cambiarla. La colpa, continua a ripeterci Sofocle, non è tutta da una sola parte. Spetta a noi chiederci dove essa stia, come fece Zanella, prete autentico ma anche intellettuale autentico, quando, senza ipocrisie, si pose il problema se il colpevole fosse Galilei e le sue leggi di uomo di scienza o la Chiesa e le sue leggi divine.

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