Un calcio al rinnovamento

Pubblicato su Sciare, 15 novembre 2014

La primavera era iniziata con le elezioni Fisi federali, l’estate è poi proseguita con le elezioni Fisi regionali mentre l’autunno ha visto le elezioni Fisi provinciali e le elezioni dei vari consigli dei Collegi regionali dei maestri di sci. Il periodo senza neve del 2014 è stato tutto dedicato a scegliere chi avrebbe dovuto farsi carico di guidare la grande e complessa macchina dello sci agonistico e dello sci professionistico italiano. Nove mesi di campagna elettorale sono stati pesantissimi a causa, io credo, dell’impiego delle parole superficiali e dei modi cialtroni della politica propriamente detta al posto delle parole pensate e dei modi consoni che un tempo appartenevano alla politica dello sport.
Se guardiamo come ha funzionato lo sci agonistico, dobbiamo esserne super soddisfatti. Tra i risultati dello sci Azzurro alle Olimpiadi di Sochi e il risultato degli Azzurri del calcio ai Mondiali brasiliani non c’è paragone. Se guardiamo qual è il livello tecnico, didattico, professionale, d’immagine dei maestri di sci italiani rispetto alla media dei maestri europei, dobbiamo esserne super orgogliosi. I maestri di sci italiani sono la massima espressione dell’insegnamento dello sci nel mondo e l’Italia è il paese guida per il riconoscimento del maestro di sci europeo. Bene quindi hanno lavorato i vertici dell’agonismo Azzurro, la Fisi, per i risultati che hanno conseguito; bene hanno fatto i vertici dei maestri di sci, Collegio Nazionale e i vari Collegi Regionali, per come sono riusciti, nell’Italia della crisi delle professioni e del lavoro, a essere un riferimento europeo di qualità e di valore. Tanto che, ci viene da dire (e da sognare), se l’Italia tutta funzionasse come funziona il mondo dello sci italiano, saremmo l’economia più forte e sana del mondo. Eppure questo non basta. Durante il periodo elettorale, c’è sempre qualcuno che non si accontenta mai, che ritiene di poter fare di più e senza dire cosa sia quel di più e come lo si possa ottenere, si appella al grande valore del rinnovamento. “Basta”, dice “con i soliti nomi, bisogna rinnovarsi!” La parola “rinnovarsi” è una parola bellissima, perché è positiva, perché è piena di speranza, perché fa sognare. È una parola potentissima perché sa intercettare la naturale tendenza verso il miglioramento che è insita in ogni individuo. Il rinnovamento infatti è fondamentale in natura quanto nella società. Sappiamo bene come sono finiti coloro i quali non hanno saputo rinnovarsi. Si sono estinti. Però c’è una condizione, che a volte si dimentica, affinché il rinnovamento funzioni. Il nuovo deve essere migliore rispetto al vecchio. Se non è migliore, noi crediamo di “rinnovare” mentre abbiamo solo “cambiato”. Se il nuovo e la sua squadra non sono più capaci del vecchio e della sua squadra, non si va avanti ma indietro.
Di solito le persone intelligenti (e nella politica dello sport ci sono) che si trovano a capo di un movimento che si dichiara a priori di rinnovamento conoscono questo rischio e si tutelano non cancellando il vecchio, che comunque ha fatto bene, ma progettando assieme il cambio di guida che, come tutte le cose importanti e ben fatte, deve avvenire “in suo anno”, nel tempo debito, con la piena acquisizione delle competenze. E questo lo diceva Cesare, una delle tante vittime del rinnovamento brutale…

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