Allenare il cervello si può

Pubblicato su Sciare, ottobre 2013

La prima cosa che impara sulla propria pelle chi fa sci club è il valore dell’impegno costante. Senza impegno, la prestazione sciistica non solo non cresce ma addirittura non si consolida e in breve tempo tende inesorabilmente a svanire. L’atleta più inesperto sa che l’allenamento continuativo è alla base di tutto, senza il quale non si riesce a far nulla. Il nostro corpo è una macchina sensibilissima, basta poco per azzerare quelle prestazioni che hanno avuto bisogno di mesi d’impegno per essere raggiunte. Si dice che dopo 15 giorni senza sci, lo sciatore perda il 30% del suo stato di forma. Se poi i giorni sono di più e compare anche qualche chilo di troppo, si è quasi costretti a ripartire da capo. Pause ed eccessi alimentari lasciano sempre il segno e quello che prima si riusciva a fare con una certa agilità, adesso costa fatica vera. Lo abbiamo provato tutti: è la legge del nostro corpo che non ammette finzioni. Ma come stanno le cose per il nostro cervello, vale la stessa legge? È ugualmente sensibile? Anch’esso non ammette finzioni? Dopo 15 giorni che non leggiamo qualche buona pagina, è altrettanto chiara la sensazione di perdere il 30% delle nostre capacità intellettive? E se la pausa dai buoni libri, dalla grande arte, dal vero cinema è ancora maggiore, sentiamo di dover ricominciare quasi da capo con la nostra formazione? Negli ultimi 30 anni – dico, trent’anni! – abbiamo avuto migliaia di ore di pessima televisione, milioni di pagine d’infima scrittura, miliardi di parole di squallido giornalismo che hanno azzerato i nostri stimoli culturali, ce ne sentiamo vittime? Abbiamo detto che il nostro corpo è sensibilissimo al disimpegno sportivo, perché non lo dovrebbe essere anche il nostro cervello dal disimpegno culturale? Chi non si allena seriamente, ha il fiatone per stringere le leve degli scarponi; chi non stimola il proprio cervello con spunti seri, ha i pensieri confusi e le parole a intermittenza. È così. È naturale che sia così. Ma se con il corpo non si finge, con il cervello è più facile. Si può fingere con gli altri ma soprattutto si può fingere con se stessi. Si finge di saper distinguere tra bellezza e lusso, tra intelligenza e furbizia, tra bontà e mansuetudine; si finge di saper argomentare le proprie opinioni con coerenza e profondità; si finge di essere colti e informati. Ma com’è possibile esserlo davvero, se non si è fatto un lavoro specifico, se si legge robaccia o addirittura non si legge affatto, se è la televisione la principale fonte d’informazione e approfondimento, se, insomma, quell’allenamento vero e duro e continuativo che per il corpo è alla base delle sue prestazioni non lo si fa anche per il cervello? Forse è il caso che la sensibilità con cui interroghiamo il nostro corpo sulle sue prestazioni mentre è sugli spigoli, la attiviamo anche per il nostro cervello, dato che la risposta è la stessa: esercizio uguale resa, per cui nessun allenamento, fiatone per stringersi gli scarponi; più buone letture, cervello che gira a mille.

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