Pane e gigli

Pubblicato su Sportivissimo, dicembre 2011

Lo scorso anno, più o meno di questi tempi, Claudio Ravetto, commissario tecnico della nazionale azzurra di sci, dichiarò ai giornali: “ci riconoscono perché puzziamo”. Voleva denunciare che una delle più forti squadre al mondo di sci era costretta a indossare giacche e tutine da gara della stagione passata. La Fisi era indebitata fino al collo e non aveva soldi nemmeno per acquistare le divise agli atleti e ai tecnici della sua squadra più importante, quella che rappresentava l’Italia nel mondo della neve. Da un lato la Fisi cercava nuovi contratti di fornitura che le potessero dare quel denaro che le sarebbe stato necessario non solo per le divise ma per continuare le tante attività agonistiche, dall’altro cercava di risparmiare fino all’ultimo centesimo, tagliando tutto quello che non era strettamente necessario. E le divise nuove, a stagione inoltrata, non erano ancora arrivate e si temeva che non sarebbero nemmeno arrivate mai. Dopotutto non è necessario cambiare le divise a ogni stagione. Se puzzano, si possono sempre lavare. La crisi, com’è arcinoto, oggi non è soltanto della Federazione, che riceve, se possibile, ancora meno soldi dei pochi che già riceveva, ma è di tutto il mondo dello sport e non solo ovviamente di esso. Sono finiti i soldi un po’ a tutti, non è tempo, nemmeno in questi giorni di Natale, di fare spese superflue per nessuno. Quando si fatica a vivere, ci si accontenta di sopravvivere. E si taglia quanto più possibile, principalmente il superfluo. Nelle piste si vedono pochissime divise nuove, pochissimi sci nuovi; fuori dalle piste i dati dicono che sono precipitate le vendite delle riviste, dei libri, dell’arte in genere. I primi a soffrire la crisi sono sempre i prodotti culturali. Oggi si è già messo a tacere la letteratura con l’azzeramento di qualsiasi investimento su nuovi autori di qualità. Dopo la cultura, tocca al mondo della moda: è probabile che adesso capiti alla creatività di chi realizza capi a essere spenta. Dopo la moda, sarà la volta dello sport e della sua attrezzatura, quindi del turismo e del divertimento in genere. E così via in un effetto a catena imprevedibile. Eppure questo tipo di tagli è sbagliato. Un antico proverbio cinese dice: “se hai 6 denari, spendine 3 per il pane e 3 per i gigli”. I gigli sono tutto ciò che noi crediamo appartenga al cosiddetto mondo del superfluo: libri, abiti, attrezzatura per lo sport e per i propri hobby, viaggi… Tutto ciò, in realtà, non è affatto superfluo, dato che è da essi e solo da essi che l’uomo riceve la propria natura e identità di uomo. Lo scrittore Camon ha scritto che se nutriamo, nella ricerca dello strettamente necessario, solo il corpo, una parte di noi muore. Si rifaceva al Vangelo: “non di solo pane vive l’uomo”, il quale, appunto, è fatto di carne che vuole il pane e di spirito che vuole i gigli. Privarsi dei gigli non è risparmiare, abbassando il tenore della propria vita, ma rinunciare alla qualità della nostra vita. Ridursi all’essenziale porta l’uomo verso lo stato animale. L’animale non legge, non indossa divise, non viaggia e nemmeno fa sport. Le crisi, come ci dicono tanto i saggi della civiltà orientale quanto le pagine delle Sacre Scritture, non si vincono stampando meno libri, cambiando meno giacche a vento, non andando a sciare o al cinema; le crisi si vincono leggendo nuovi libri e vestendoci di costumi (anche morali) più alti, ovvero non tralasciando ciò che ci nutre lo spirito. Più sapere, più educazione, più bellezza, più sport. Meno animalità. Tanti gigli, quindi, quanto pane; tanto pane quanti gigli.

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