Giù le mutande

Pubblicato su Sportivissimo,  novembre 2011

Due miei cari amici hanno avuto ciascuno un’idea brillante. Enrico Frare, maestro di sci e neo proprietario del marchio Colle, si è spogliato nudo, ha chiamato un fotografo e ha pubblicato a proprie spese la sua foto sull’ultima pagina del Corriere della Sera. L’ha fatto non perché è diventato pazzo ma per protestare contro un sistema politico-statale-bancario semplicemente, disperatamente fallimentare. L’azione ha avuto una certa eco ed Enrico è stato chiamato un po’ da tutti, da Santoro a Matrix, a raccontare le sue sacrosantissime ragioni, che poi sono anche le nostre. L’altro mio amico, Luca Severi, fa il medico in un grande ospedale di Roma. Assieme abbiamo pedalato, dico questo perché, se Enrico è uno sciatore, Luca è un ciclista e cioè queste nostre sono comunque parole di sport. Luca ha dato una definizione geniale della finanza. Essa è la nuova “arma di distruzione di massa”, nata, come tutte le armi, quale mezzo per la conquista della ricchezza del mondo e capace, come tutte le armi di distruzione di massa, di uccidere sia chi colpisce direttamente sia per contagio con effetti a catena imprevedibili. Da sportivi è chiaro ciò che Luca ed Enrico ci stanno dicendo. L’anomalia dei nostri anni, che ha portato l’imprenditoria a soffrire come non mai e chiunque di noi a preoccuparsi per il proprio futuro quanto per quello dei nostri figli, è sostanzialmente il fenomeno della deregulation, del gioco senza regole. Un’assurdità immane, dato che, come sa chi fa sport, non c’è disciplina che non abbia le sue regole. Così l’Europa, grandissima idea, è nata senza governo, e la finanza, lasciata libera a se stessa, si è trasformata in quel mostro assassino che è. L’Europa contiene la contraddizione fondativa di essere unita e divisa, simile e diversa al tempo stesso. Nel mondo delle imprese significa avere una moneta unica in un sistema di tassazioni, di costi orari d’impresa, energetici e altro ancora assolutamente diversi tra loro. E la finanza, la quale – lo dice la parola – dovrebbe finanziare l’impresa, aderendo a progetti, sviluppi e prodotti veri e avere il tempo di aspettare la maturazione della loro plusvalenza, svolazza irresponsabilmente da un titolo all’altro, vendendo allegramente la sera quello che ha acquistato al mattino. Senza regole non è possibile fare una gara; nello stesso modo, senza regole, non è possibile confrontarsi nel mondo dell’impresa. Abbiamo quindi bisogno di regole uguali per tutti, niente di più, come nello sport dove una gara di 100 metri è uguale in tutto il mondo.
E qui apro una parentesi. Per colpa nostra, ovviamente, siamo entrati tra i fondatori dell’Europa come Cenerentole al ballo. Onorati di esserci. Incapaci, però, di rifiutare quello che era chiaro fin dall’inizio. Permettendo che l’Europa nascesse solo come realtà economica, per il nostro debito pubblico siamo stati destinati a essere tra gli ultimi, con la Germania e la Francia a farci da padrone. Nel tempo della finanza dominante è stato mettersi in ginocchio. Ma l’Italia è un paese storicamente leader. L’abbiamo costruita noi, la Francia. Noi gli abbiamo dato la lingua, la religione, il diritto, la civiltà, l’università, il vino. E la Germania stessa ha fondato il suo sogno, fallito, di germanizzare il mondo studiamo e copiando, malissimo, dall’opera civilizzatrice di Roma. Da dove credete che origini l’ordine e la precisione alemanna, se non dalla grammatica latina? I tedeschi hanno studiato la lingua di Roma più di qualsiasi altro popolo, avendo capito che il latino avrebbe dato loro quella mentalità (forma mentis) ordinata e precisa che oggi fa di un qualsiasi prodotto tedesco un prodotto serio e affidabile. Se – ma questa è un’altra storia – anche noi avessimo imparato il latino come sistema logico-linguistico più che come lingua (oggi si è arrivati perfino a usare tecniche didattiche simili a quelle impiegate per l’inglese come se avesse senso saper far traduzioni simultanee da Cicerone come si fa per le notizie della CNN) sicuramente saremmo un passo avanti anche nell’ordine e nella precisione e nell’osservanza delle regole che ne consegue.
Chiudo la parentesi e torno a Luca e alle nostre pedalate “dialettiche” e a Enrico e al paginone del Corriere con il suo nudo. Ebbene molti hanno confrontato il nudo gridato di Enrico con quello spavaldo di Luciano Benetton, fotografato, una ventina di anni fa, da Oliviero Toscani. In quei nudi le uniche azioni sono fatte dalle mani che coprono i genitali. In quello di Benetton pare dicano: “però, le palle non ve le mostriamo”; in quello di Frare pare, invece, dicano: “no, queste non possiamo proprio darvele!” Bene, mi auguro che il prossimo nudo sia quello del David di Michelangelo, italiano, fiero, altero, rigoroso, sportivo e vincitore e con le palle al vento d’Europa.

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