Il troppo è nemico del bene

Pubblicato su Sportivissimo – novembre 2010

Dopo i primi due mesi di scuola della sua vita, sono tentato di dare a mio figlio il Manifesto del Partito Comunista di Marx e Engels, affinché lo porti alle sue maestre per farglielo leggere. Ha sei anni, fa il tempo pieno, cioè 8 ore al giorno, e porta i compiti a casa con l’invito esplicito di essere seguito dai genitori. Quindi 8 ore più straordinari suoi e nostri, che quando arriviamo a casa le nostre otto ore, quando va bene, le abbiamo già fatte. Tirando giù dallo scaffale il vecchio Manifesto di Marx e Engles, vorrei fare osservare che qui, nel civile Occidente, sono passati circa 150 anni da quel famoso 1° maggio di Chicago in cui abbiamo diviso le nostre giornate in tre parti uguali: 8 ore per dormire; 8 ore per lavorare; 8 ore per il tempo libero, definizione, quest’ultima di “tempo libero”, invero un po’ generosa, perché in questo spazio temporale dobbiamo fare tutto quello che non facciamo quando dormiamo e quando lavoriamo/andiamo a scuola, che è veramente una gran cifra di cose, affatto “libere”: dal cambiare l’acqua ai pesci rossi all’andare dal dentista, per esempio. Non vale, quindi, dire: “ma si tratta di pochi minuti”. Fare i compiti per casa dopo 8 ore o nel week end di biblico suggerimento al riposo è comunque un impegno, e lungo o breve che sia, è un impegno che invade con la prepotenza dell’obbligatorietà il nostro tempo già di per sé poco libero. Ok, me la sto prendendo per poco, una manciata di minuti, ma il punto non è da poco. Qui, ci si sta dimenticando che i padri della Modernità, dividendo la giornata in tre parti uguali, hanno voluto dirci che dormire, lavorare e disporre di tempo libero sono tre momenti ugualmente fondamentali per la vita degli uomini. Ci hanno saggiamente spiegato che non si è uomini ma bestie, non solo se non ci si riposa il dovuto, non solo se non si ha un lavoro dignitoso, ma si è bestie anche se non si ha il giusto tempo libero per curare e far crescere i nostri individuali interessi attraverso i quali si forma la nostra personalità. Una lezione che incredibilmente abbiamo dimenticato. “Non capisco gli uomini occidentali”, ha scritto il Dalai Lama, “si ammalano per fare soldi e poi spendono soldi per curarsi”. Potremmo aggiungere: non capisco le scuole occidentali che sovraccaricano di ore di studio gli studenti di sei, dodici, diciotto anni, per, poi, vederli abbandonare perfino il corso di laurea breve e, cosa gravissima, smettere per sempre di leggere (in Europa siamo al penultimo posto in percentuali di laureati; siamo gli ultimi in numero di libri letti in un anno). Non capisco lo sport occidentale alla ricerca spasmodica del risultato fin dai suoi atleti più giovani per, poi, vederli smettere prima dei quindici anni. (Una statistica del Coni mostra come sia una percentuale insignificante quella di chi ha vinto da ragazzo i Giochi della Gioventù e da grande ha partecipato a un’Olimpiade. Consideriamo, poi, che oggi a fare sport sono i pensionati che da giovani ne facevano poco – erano altri tempi – e si stanno prendendo una bella rivincita, vivendo alla grande e in salute la loro maturità; chiediamoci se così sarà anche per i nostri ragazzi, dopo che li avremo stancati da piccoli).
In altre parole, la contraddizione è questa: lavoriamo per fare più soldi possibili e pagare i mutui, e non per fare quei soldi necessari per vivere bene; studiamo per prendere voti e fare i genietti a scuola, e non per capire e, soprattutto, per appassionarci alla comprensione colta del mondo; facciamo sport per vincere la gara della parrocchia e sognare di essere campioni, non per educarci a crescere in una vita sana. Certo, in questa logica assurda, i genitori sono chiamati a fare la loro parte. Ufficialmente e necessariamente chiamati a fare la loro parte, dato che così fan tutti; dato che così bisogna fare per avere un figlio genietto a sei anni. Nemmeno Mozart, che però era davvero un genio, sarebbe stato così precoce senza il padre Leopold; nemmeno Leopardi, senza il padre Monaldo. Ma, ahinoi, sia Wolfgang sia Giacomo morirono sotto i quarant’anni, cioè prematuramente, come qui si vuole dimostrare. Ovvero, se da piccoli fossero stati lasciati in pace, avrebbero fatto le stesse cose che hanno fatto – erano geni! – ma le avrebbero realizzate in una vita più lunga e più serena. E questo vale per i campioncini dello sport che hanno sempre due coach, quello della squadra e il proprio papà.
Insomma, siamo così irresponsabilmente sciocchi da lessarci il cervello prima ancora di capire che abbiamo un cervello fantastico da far funzionare; da logorarci il corpo e lo spirito sportivo prima ancora di scoprire che abbiamo un corpo e un bisogno mentale di fare sport che ci farà vivere attivi e in salute per il resto della nostra vita. Se nei prossimi giorni mi vedete con gli striscioni davanti alla scuola di mio figlio con scritto IL TROPPO E’ NEMICO DEL BENE, adesso sapete perché.

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