Il figo totale

Pubblicato su Sportivissimo – Maggio 2009

Supponiamo che un giovane ci chieda le ragioni dello sport. Non perché si faccia sport, quando e come sia nato lo sport, cosa provi la gente facendo sport, ma perché lo debba fare lui, che è uno sportivo bravo ma non eccellente, che ha già capito che non diventerà mai un campione e nemmeno un atleta professionista, che ritiene di avere poche chance anche per diventare uno che vince le ‘garette’ di provincia. Se ci chiedesse: “perché faccio sport io, se non sono un vincente, se non sono un figo?” cosa gli potremmo dire? Non penso che potremmo ispirarci alla bellezza del gesto atletico, al benessere psicofisico, al piacere della sfida leale tra amici sportivi. Non penso nemmeno che citare sant’Agostino: “si fallor, sum” (se sbaglio, sono) possa essergli d’aiuto. I giovani vanno presi sul serio. Hanno così tante cose da capire che non si possono prendere in giro facendogli fare quello cui non credono o quello di cui non capiscono il senso. In Austria c’è un professore che risponde alle domande delle persone filosofando con loro. Al posto di andare dallo psicologo che di solito ascolta i nostri problemi, egli dialoga non sui problemi delle persone ma sui testi dei classici che in qualche modo affrontano il problema su cui, chi va da lui si sta arrovellando. Pare che le persone ne trovino beneficio. Appena laureato, mi ero inventato di proporre libri alle aziende su letteratura e prodotto. Partivo dalla convinzione che la letteratura, parlando di noi, contenesse tutti, proprio tutti gli argomenti umani e potesse offrire un contenuto spirituale anche al più materiale dei manufatti. Il mio primo lavoro, datato 1997, fu sullo sci e la letteratura e fu edito dalla Dolomite che fa scarponi da sci. Poi mi sono interessato anche di tennis e letteratura. Per dare una buona risposta al nostro giovane dovremmo trovare una lettura da consigliargli, che in quel libro sullo sci o in quegli articoli sul tennis, però, non c’è. La sua domanda, in effetti, non riguarda specificatamente lo sport, ma le ragioni di fare una certa cosa che non ha alcun fine evidente, di fare senza l’obiettivo del successo o della vittoria. Chi per primo pose e cercò di dare la risposta alla domanda classica sul fare senza uno scopo specifico è stato Somerset Maugham, quando si chiese: “potrei scrivere su un’isola deserta, con la certezza che nessuno tranne me vedrà mai quello che scrivo?” Per rispondersi, egli compose un libro La luna e sei soldi, in cui, ispirandosi alla vita di Paul Gauguin, dice di sì, spiegando che nella storia dell’uomo ci sono stati tanti che hanno scritto, (kafka, Morselli), dipinto (Manet, Van Gogh, Corot) e fatto sport senza nessun fine di visibilità, di profitto, di consenso, richiamati soltanto da un sentire autentico che avevano dentro di loro, in nome del quale, se non si fossero comportati così, non avrebbero vissuto la loro vita fino in fondo. Al nostro giovane farei leggere La luna e sei soldi per poi, assieme, distinguere tra la vita banalotta del fare pragmatico e la vita profonda dello spirito. Tra lo sport scontato per diventare campioni e quello vero dell’anima. Assieme distingueremo il “figo” perché vince e il “figo totale” perché ha dentro di sé lo sport come passione, come vita e la vittoria è, sì, importante ma è solo una parte, tra l’altro minima e non certo necessaria, del suo fare sport.

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