Lezione di Sport

Pubblicato su Sportivissimo – Aprile 2006

Bella storia quella delle Olimpiadi. La necessità irrinunciabile della vittoria, proprio dell’istinto primitivo per la sopravvivenza, sublimata in sana competizione, in confronto leale, rispettoso delle regole quanto degli avversari e dei vinti, a cui per principio si dà sempre una chance di rivincita. La guerra insomma che diventa sport. L’atto di uccidere che si trasforma in risultato, punto, goal, miglior tempo. Il bottino bellico convertito in medaglia d’oro. Nella stagione dell’Olimpiade italiana, mi pare doveroso riflettere sullo spirito di competizione. Sappiamo davvero cosa significa competere? Quali siano le sue regole? Abbiamo esempi oggi di competizione degni di questa antica tradizione civile? Tutti sanno che le Olimpiadi sono tra i doni più preziosi che abbiamo ricevuto dall’antica civiltà greca, come la politica e la democrazia, le quali a loro volta vivono di rivalità e di competizione. Ma che figura avremmo fatto, se le nostre squadre olimpiche avessero adottato i toni che da decenni sono diventati comuni alla disputa politica italiana? Quei toni gridati e volgari, di cui i media quotidianamente ci informano e ci assillano, e che in campo sportivo sopravvivono, sporadici, solo in qualche vecchio dirigente rincoglionito. Dove chi non sta con noi è un nemico dichiarato da eliminare come il peggiore degli uomini. Dove la calunnia è di prassi; dove sproloquiare non fa più arrossire nessuno. La logica perversa dello scontro politico attuale, per fortuna, non è ancora la logica della competizione sportiva, dove il rivale è una persona degna, cui si riconosce lo stesso nostro percorso di vita, la nostra stessa passione, la nostra stessa fatica. Il quale, come noi, si batte, sapendo che potrebbe vincere quanto perdere e che comunque un giorno qualcun altro batterà il suo record. Egli ha l’umiltà dei grandi, la saggezza di chi vive seriamente il proprio impegno. Lo sport, a differenza della politica attuale, sa ancora distinguere tra “nemico” e “rivale” come ce l’hanno spiegata gli antichi romani, i quali avevano due termini distinti: Hostis e Nemicus. Il primo era la vera persona ostile, il vero nemico da combattere con ogni mezzo, mentre il secondo era l’avversario, una persona che in politica la pensava diversamente, che nello sport stava in un’altra squadra, ma con cui era sempre possibile discutere o bere un bicchiere di buon Falerno sotto una pergola. Un nemico-rivale da rispettare come cosa sacra, perché senza di lui non era più possibile la discussione politica e la democrazia, la gara sportiva e le Olimpiade. Inoltre, più egli era bravo, più onorava la sfida, perché più bravi dovevamo essere noi per riuscire a vincere. Il rivale, insomma, altro non è che colui sa tirar fuori il meglio di noi stessi. Come non rispettarlo? Come non apprezzare chi ci fa dare il massimo di noi? La politica sappia trarre beneficio da quest’anno olimpico italiano e recuperi l’alto significato della competizione, che i veri sportivi non hanno mai tradito.

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