Una lezione difficile

Pubblicato su Sciare – 2006

“Se state buoni, vi dico una cosa con cui farete sicuramente bella figura alla vostra prima lezione di sci, salendo in seggiovia con il vostro cliente”. Ho detto questo, testuale, durante la mia lezione di Storia dello Sci ai candidati maestri. Ho detto: “se state buoni!” Il grande Concetto Marchesi non apriva bocca, se in aula c’era il minimo brusio, e poteva non aprire bocca per tutta una lezione e eventualmente anche per le successive, fissando i responsabili del disturbo, che forse solo muovevano le ciglia o avevano la tosse, i quali tuttavia non avrebbero mai passato l’esame di latino, perché semplicemente non sarebbe stato ad ascoltarli, come loro avevano fatto con lui. Ho di fronte a me gli ultimi candidati maestri, da ‘candido’, pulito, senza macchie, ovvero meritevoli di per sé a essere qui ad ascoltare che lo sci precede di 1500 anni la scoperta della ruota, rivelandosi tra le primissime invenzioni tecniche nell’arte della locomozione. Vorrei che, come neomaestri, fossero fieri del fatto di avere una storia così antica. La nobiltà è semplicemente essersi distinti su questa terra un po’ prima degli altri; essersi evoluti da quello stato animale, privo d’ingegno e di educazione, a cui eravamo costretti. Il calcio, al confronto dello sci, è un parvenu. Tra i candidati c’è uno che indossa la canotta e nemmeno si è accorto che sono in aula. Un altro tiene il berretto con il frontino sul volto, per non vedere o per non essere visto. Tutti indossano i calzoncini corti, come se fossimo all’asilo. Una biondina non chiude bocca. La richiamo, si gira, sta zitta per una frazione di secondo e poi riprende a parlare. C’è un tizio che non ha la più pallida idea di come si sta seduti su una sedia e fa venire in mente chi prende per la prima volta lo skilift. E poi ci sono due che si passano una bottiglia di acqua che alla fine l’uno versa sul ginocchio dell’altro, il quale per tutta risposta gli versa il rimanente giù per la schiena. Ce ne sono una trentina, a parte le solite rare ed encomiabili eccezioni, che stanno lì seduti davanti a me, obbligati a questo finale di corso, disinteressati a priori della storia dello sport di cui, ohibò, si fregeranno del titolo di maestri. Per me basterebbe questo per mandarli tutti a casa; per me sarebbe sufficiente questo per scegliere maestri magari più scarsi sugli sci, ma più consapevoli che per sciare come sciamo qualcuno ha usato la testa oltre che i piedi. Parlo di quel genio di Zdarsky che pensò di bloccare il tallone e inventò lo sci alpino, e di Bill Koch che, sfruttando la battitura della piste di fondo con il gatto delle nevi, inventa lo skating. Parlo e non so per chi lo sto facendo. Temo che nessuno si ricordi nemmeno della promessa che ho fatto all’inizio: “vi dirò una chicca con cui potrete fare bella figura con i vostri clienti il prossimo Natale, se state buoni…”. Se la lezione finisse adesso, ho l’impressione che tutti se ne andrebbero senza chiedermi nulla. Eppure studiando la storia dello sci e in specie quel capitolo in cui si ricostruisce la nascita della figura dei maestri, la prima cosa che salta agli occhi è che fin dall’inizio fu difficile abilitarsi alla professione. Alla prima selezione del 1932, nel primo appello di Clavière, su 110 iscritti ne passarono solo 24 e nel secondo dello Stelvio solo 6. La prima sfornata di maestri italiani, che per una logica iniziale, avrebbe dovuto essere molto copiosa, non superò le 30 unità. Da allora diventare maestri non è mai stato facile. E così deve continuare a essere, potenziando la parte teorica. Bisogna introdurre almeno il doppio di ore in aula. Per l’esame di storia, bisogna portare almeno tre libri. E poi bisogna svolgere una prova scritta. E una orale in cui dimostrare di saper dire chi ha disegnato il famoso stemma dell’Amsi, la “patacca” di maestro per cui tanto si scia e si studia. “E’ stato l’architetto Silvio Cazzaniga di Milano” dissi, mantenendo la mia promessa, “l’ha disegnata su incarico dell’Amsi. E’ tra le sue cose più belle, assieme alla Coppa del Mondo di calcio che disegnò per la Fifa 1974, alta 36 cm dal peso di 4 chili e 970 grammi di oro a 18 carati, che ci siamo portati a casa con la vittoria di Berlino sulla Francia. I maestri prima di noi hanno dato sempre il massimo in tutto quello che facevano, e il nostro stemma è un ‘classico’ di assoluto prestigio: il nostro impegno è continuare con lo stesso spirito”. Ho finito la lezione e sono molto arrabbiato.

torna alla lista articoli


Leave a Reply