Lo sci in affitto

Pubblicato su Sciare – 2006

Gli analisti del mercato sportivo dicono che sempre più sciatori affitteranno i loro sci, i loro scarponi, i loro bastoncini; loro, esattamente, per il breve tempo di una settimana bianca, finita la quale, sciatore e sci andranno ciascuno per la propria strada, divisi per sempre. E’, dicono, una scelta razionale: costa meno di acquistarli e poi sono sempre nuovi e ben preparati. Nel mondo delle settimane bianche questo è l’irreversibile trend. Perfino gli alberghi si sono attrezzati al riguardo. Gli sci come gli asciugamani e la tv fanno parte del servizio di camera. C’era da aspettarselo! Come i fazzoletti in cotone, i pennelli da barba, la pasta fatta in casa e le penne stilografiche, gli sci di proprietà si stanno estinguendo nel mondo dell’usa e getta asentimentale e moderno verso il quale ci stiamo spingendo. Ancora qualche anno e saremo completamente disaffezionati da tutto ciò che è possesso materiale. Non avremo più oggetti da desiderare, da amare, da curare. Ogni cosa sarà considerata, come voleva Marx, per il suo mero valore d’uso e non per ciò che può valere o significare. Avremo la macchina in affitto, la casa di un’impersonale società come la barca, il computer e i mobili di casa o d’ufficio. Affitteremo tutto e per uno spazio di tempo sempre più breve, in un turn over di oggetti demenziale, dove nessuno riconoscerà più nessuno dalla macchina che ha, dalla casa che abita, dagli sci che usa. Impazziranno gli uffici anagrafici e quelli postali. Lo sciatore postmoderno arriverà in pista con una macchina di un tipo e se ne andrà con una di un altro tipo, lasciando sul parterre della pista tutto quello di cui si è servito: gli sci, ovviamente, ma anche la felpa da 2 euro all’ora, i pantaloni da 5, la giacca a vento da 8 come già si fa con lo ski pass giornaliero. La società dei consumi, inventando l’usa e getta per la propria sopravvivenza, ha liberato l’uomo dalla tanto detestata materialità come non era riuscito a nessun altro prima. Né agli uomini di solo spirito come San Francesco, né agli ideologi del tutto di tutti comunista. Il Mastro Don Gesualdo di Verga con la sua “la roba” sarà quanto di più antico; il possesso come status symbol non sopravviverà più nemmeno tra i dandy di provincia. Ma che uomo sarà quello che usa le cose senza sentirle sue, che non riconoscerà mai se stesso in qualcosa che ha posseduto e amato? Crediamo forse che senza valori materiali, sarà un uomo migliore? Uno sciatore che non saprà mai cosa significhi desiderare un paio di sci tutti per lui, che non saprà mai cosa vuol dire tirargli le lamine, sciolinarli, chiuderli amorosamente con tre strep, sarà uno sciatore migliore perché meno materialista e più spirituale? Robert Pirsig ne Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta ci ha insegnato che il Divino dimora tanto dentro a un paio di sci quanto sulla cima di una montagna o nel canto di un monaco tibetano. Amare le cose che sono diventate le nostre cose, che sono diventate specchi del nostro vivere appassionato, come la nostra casa, i nostri libri, i nostri sci non è gretto materialismo e tanto meno feticismo. E’, se mai, far lavorare la nostra immaginazione in modo da trasformare quelle cose in parti di noi. Significa umanizzarle, e così aver reso il nostro mondo meno asettico e in prestito. Perché di questo passo, il rischio è che qualcuno cominci ad affittare anche la coscienza e tutto quello che ci va dietro.

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