Gli sci club nel tempo del cazzeggio universale
Pubblicato su Sciare – 2006Adesso gli sci club sono finiti ad assomigliare alle tv. Quelli piccoli alle tv locali, quelli più grandi alle tv nazionali. Tutti in balia del solito obiettivo: fare denaro; e del solito credo per farlo: ottenere risultati o, ma è lo stesso, prometterli. Come se non ci fossero altre finalità per guardare la tv o per andare a sciare. E’ finito insomma il tempo in cui gli uni, al fianco dell’attività agonistica, proponevano gite in pullman e socializzazione, e le altre, oltre ai soliti varietà, l’Ulisse con Kirt Douglas e Silvana Mangano nel doppio ruolo di Penelope e di Circe, e facevano cultura. Oggi sci club e tv sono diventati commerciali: se tira il reality, ne faranno uno anche su chi è affetto da trisomia 21; se tira l’agonismo, buttano tra i paletti anche chi deve ancora imparare a sciare. Si fotta la socializzazione e la cultura; l’insegnamento dello sci e il divertimento intelligente. E’ molto più importante l’audience e i pulmini pieni, e allora via a vendere illusioni, a stimolare ambizioni personali, facendo intravedere scenari, gli uni come gli altri, di cartone colorato. E i genitori, sempre meno adulti e sempre più bambinoni (o il corrispettivo in rima), a tirar fuori soldi per il cellulare a 8 anni e per 150 giorni di sci tra estivo e invernale. Se ci si chiede perché si è arrivati a questo, la mia risposta è: nell’Ottocento si è stabilito che il giorno fosse diviso in tre parti uguali: 8 ore per dormire; 8 ore per lavorare; 8 ore per il tempo libero. Fu una grande conquista per la qualità della vita umana, ma ci voleva dell’altro per alleggerire l’anima. Dopo quasi un secolo e mezzo, sottraendo un po’ di tempo a ciascun parte, dividiamo la giornata in quattro: 6 ore per dormire, 6 ore per lavorare, 6 ore per il tempo libero e 6 ore per cazzeggiare. Su queste ultime sei ore inevitabilmente si è sviluppato un nuovo mercato dal fatturato miliardario: libri porcheria, tv spazzatura, riviste ignobili con le natiche della belloccia di turno pizzicate dal calciatore fighetto, centri commerciali in cui trovi la discarica planetaria del superfluo. Tuttavia roba che tira, che fa sognare, che produce risultati di vendita quindi denaro. Insomma, roba giusta.
In linea ipotetica lo sci doveva far parte del tempo libero, e per lo sci sciato in effetti è ancora così, ma lo sci del nuovo sciclubbismo, dello sci chiacchierato, dei super campioni alti un metro e trenta, è già tutto dentro in questa nuova dimensione. Come la tv, nella dimensione commerciale! Scrive Walter Siti che anche il turismo ha fatto la stessa fine. Non si viaggia per amore della conoscenza geografica. Si va a Dubai a sciare in un capannone con il profilo delle montagne scolpite nella parete di cemento. Insomma nel luogo più falso del Pianeta. Per fare business nelle 6 ore di cazzeggio umano mica bisogna essere dei geni, basta de-realizzare il mondo. Inventare grandi balle: tipo la neve a Dubai, una scazzottata tra famosi sull’isola deserta, dire ai genitori che il proprio figlio sugli sci ci ricorda Hermann Maier da giovane. Sparala grossa e farai centro. Sparala grossa e farai soldi.
Cerchiamo allora di salvare lo sci da tutto questo! Stacchiamoci dallo stupido presente in cui viviamo, e ritorniamo a sciare da uomini veri, nella realtà delle nostre possibilità che sono molto più grandi e belle delle allucinazioni indotte dai furbetti interessati ai nostri soldi. Se chiudiamo gli occhi e cerchiamo di ricordare qualcosa visto in tv, non ci verrà in mente il reality di turno, ma quella scena in cui Ulisse, naufrago nell’isola dei Feaci, si sveglia perché la palla con cui sta giocando Nausicaa, una divina Rossana Podestà, lo sfiora; se chiudiamo gli occhi e ricordiamo una giornata di sci, non ci viene in mente la garetta vinta o persa, o quel mezzo secondo in più per cui allora si è cambiato l’allenatore o il club, ma una splendente giornata di sole tra persone allegre che mangiavano assieme un panino, dopo aver sciato. La nostra memoria è meno stupida di quanto lo siamo noi.
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